Crisi delle vocazioni? La Diocesi richiama in servizio attivo sette preti pensionati

Mancano sacerdoti e chierichetti, gli ultrasettantenni dovranno fare gli assistenti, spesso nelle parrocchie in cui erano reggenti 

LA STORIA

Preti, la pensione può attendere. La Chiesa trevigiana ne ha un ( disperato ) bisogno. E li richiama in servizio, anche dopo i fatidici 75 anni della pensione, con incarichi meno gravosi e impegnativi, ma altrettanto indispensabili per assicurare il servizio pastorale ai fedeli. Sono 7 i sacerdoti ri- chiamati dalla Diocesi come collaboratori pastorali. Fino a ieri parroci, poi in quiescenza, oggi tornano nelle chiese e nelle canoniche per aiutare e sostenere i loro colleghi.

“Part-time”, se si vuole, ma in servizio. La Diocesi fa i conti con la crisi della vocazioni e la carenza di religiosi, e ha “chiamato”, trovando immediata disponibilità.

Hanno risposto don Gian Paolo Bano, ex parroco di Ponte di Piave, che aiuterà la parrocchia di Marcon. E poi due monsignori come Giuseppe Leone Cecchetto, già parroco di Loreggia, ora designato a Vedelago e Cleto Bedin, ex rettore del santuario della Rocca di Cornuda, inviato a Paese. A prendere il suo posto è don Ado Sartor, dopo aver salutato dopo trent’anni filati lo scorso 15 settembre la parrocchia di San Bartolomeo. Don Mariano Zanesco, ex parroco di Biadene, resterà lì, come assistente. E come lui anche don Mauro Simeoni, già parroco di Salvatronda e Campigo, ora a supporto nelle due comunità. E infine don Olindo Furlanetto, fino a ieri parroco di Marcon, collaborerà alla cura pastorale a Musile. A spiegare perché nessuno dei sette ha esitato ,.nel rispondere alla chiamata che non ha precedenti, è don Ado Sartor. 51 anni di sacerdozio, che a 75 anni torna nella stessa chiesa dove il suo lungo cammino sacerdotale ebbe inizio. Era partito proprio dalla Rocca di Cornuda all’indomani dell’ordinazione , a 24 anni. Oggi a 75 vi fa ritorno come rettore.

Don Ado, oggi per un sacerdote la chiamata pastorale può dunque continuare oltre i 50 anni di servizio.

«Non viviamo mai la vita per la Chiesa per noi stessi, da soli, ma al servizio e in collaborazione con gli altri. Noi sacerdoti più anziani possiamo continuare ad essere attivi e di aiuto ad altre parrocchie in settori diversi: nel catechismo, con i giovani negli oratori, nelle azioni di carità. I modi sono tanti. A me ad esempio è stata assegnata la gestione del santuario della Rocca di Cornuda, in uno spirito di collaborazione pastorale».

Il ricorso a più sacerdoti al servizio di due o tre parrocchie ormai è diventato di casa nella chiesa della Marca.

«Il calo delle vocazioni chiede a tutti i sacerdoti di darsi una mano. In una parrocchia possiamo così trovare due, tre preti che vivono insieme. Fanno evangelizzazione e programmazione».

Ha mai pensato di rinunciare alla nuova chiamata pastorale per godersi un po’ di meritato riposo?

«Sono attivo, sto bene, posso muovermi e sono ancora autonomo. E devo dire che il lasciare la parrocchia di San Bartolomeo dopo trent’anni di vita pastorale 24 ore su 24, attivo in più direzioni, ho sentito un improvviso vuoto. Ci sono cambiamenti importanti nella vita e ci vuole tempo per somatizzare. Credo che un parroco si possa sentire come un anziano papà di famiglia quando invecchia, perché io ho amato i miei parrocchiani come un papà. Sento che non è ancora giunto il momento di mettersi da parte, io, e credo anche alti come me, abbiamo ancora tantissimo da dare».

Qual è il compito di un anziano prete ancora chiamato dalla sua Chiesa a dare una mano?

«Ci sono pochi preti, ma c’è tanta sete di aiuto e conforto. Il peso della vita oggi è grande: i confini che garantivano stabilità si sono rotti, I legami familiari si sono spezzati, in tanti siamo disorientati. C’è troppa sofferenza sociale, e questo ha anche un peso economico. E la sofferenza le persone la portano dentro. Per questo abbiamo più bisogno gli uni degli altri. La debolezza umana ci richiama al bisogno di un maggiore sostegno reciproco. E forse per questo noi preti anziani siamo più “navigati, sappiamo donare conforto, una parola buona per dare serenità e speranza di vita».

E questo suo ritorno alla Rocca?

«È una cosa grande. Il santuario è un centro di spiritualità, esserne il rettore mi fa onore. E’ un servizio che sento di dover fare con amore. Sono partito da qui appena ordinato, nel 1968, avevo 24 anni. E ci torno a 75».

E sinora, si era concesso almeno un po’ di meritato riposo?

«Sono il coordinatore provinciale di Africa Mission” fondata da don Vittorione, e il 15 novembre tornerò per l’ottava volta in Uganda, per due settimane. Hanno ancora bisogno di me, e ci sono ancora tante attività da seguire».

Alessandra Vendrame

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