Chiari & Forti, Trevenlat e le altre ferite aperte

Un territorio bucato dal cemento, ferito e infine abbandonato a se stesso. È la Marca, che, come buona parte del Nord Est, ha visto fiorire migliaia di capannoni e fabbriche, simboli della passata...

Un territorio bucato dal cemento, ferito e infine abbandonato a se stesso. È la Marca, che, come buona parte del Nord Est, ha visto fiorire migliaia di capannoni e fabbriche, simboli della passata prosperità produttiva e oggi scheletri, triste testimonianza della crisi. Ecco i principali.

Chiari&Forti. Nato a Silea nel 1937, l’oleificio ha vissuto anni di grande splendore fino al 2000, anno in cui iniziò la dimissione dell'azienda. Nel 2004 si arrivò alla chiusura a causa del forte indebitamento del gruppo. Nel 2006 venne elaborato un piano di riqualificazione dell'intera area, destinato a trasformare l'ex oleificio in un grande centro commerciale e direzionale. Un paio d'anni dopo, il progetto del gruppo Acqua Marcia, presieduto, dall'ingegner Francesco Bellavista Caltagirone, sembrava prendere forma, ma poi l’operazione si blocca a causa del fallimento che travolge la Silea Parco, società proprietaria dell'area per conto di Acqua Marcia.

Trevenlat. L'ex latteria di fronte all'Ippodromo in viale Felissent giace in uno stato di totale abbandono dagli anni Novanta. Dopo un incendio, che nel 2004 ne danneggiò parte dei locali dismessi, nel 2006, per lo stabilimento della Trevenlat era stato previsto un piano di recupero. La ristrutturazione dei 4 lotti prevedeva la costruzione di 12 mila metri cubi di spazi commerciali e direzionali con parcheggi e verde pubblico. Ma il recupero è rimasto lettera morta.

Fonderia Zanussi. In disuso da molti anni. Inizialmente era stata prevista la creazione di alcuni borghi e il trasferimento del municipio all'interno del plesso. Un'operazione da 24 milioni, poi rielaborata in chiave più modesta, costo complessivo di 8 milioni di euro. Dopo numerosi ritardi, l'operazione si è ulteriormente arenata con il fallimento della Pellizzer Srl.

Ceramiche Pagnossin. Nata nel 1919 la ditta Pagnossin è stata chiusa nel 2006 dopo che il tribunale di Firenze ha dichiarato il fallimento della Richard Ginori. La fabbrica, che sorge lungo la Noalese, giace in uno stato di grave degrado. L’area è andata più volte all’asta.

Concessionaria Brinobet. L’edificio si trova a Susegana. Versa da anni in uno stato di totale abbandono. Era una delle concessionarie auto più importanti della Marca trevigiana.

Consorzio agrario di Treviso. Affacciato su viale Nino bixio, ossia sul Put esterno delle mura, è chiuso da 15 anni. Di proprietà della Regione Veneto e in quota minima di Ca’ Sugana, versa in forte degrado. Mesi fa la Regione ha proposto alla giunta Manildo il suo riutilizzo, previa la presentazione di un progetto di recupero.

Fornace Cernacchi. L’immobile si trova a Cornuda. La diatriba sulla sua destinazione si protrae da decenni e ancora non si trova una soluzione per il suo riutilizzo.

Filatura San Lorenzo. Si trova a Visnadello di Spresiano, affacciata sulla Pontebbana. Ormai è uno scheletro, ma anche una discarica a cielo aperto che cozza con la nuova piazza di Visnadello, che si trova a due passi.

Filatura Monti. Si trova in via Risorgimento a Montebelluna, è stata chiusa nel 2003 lasciando a casa 77 dipendenti, alcuni dei quali poi assunti nella sede di Maserada.

El Becher. L’ex stabilimento si trova a Cornuda. Anch’esso versa nel degrado. Nel 2013 è stato anche danneggiato da un rogo.

Gli altri edifici. Simile la sorte anche per le Vaserie Trevigiane di Quinto, il Piruea di Breda di Piave, la Permasteelisa di Treviso, la cartiera Ecoboard di Carbonera, la caserma Zanusso di Oderzo e il maglificio Nigi di Mogliano. Tutti abbandonati, “buchi” nel territorio sui quali il sindacato oggi chiede una riflessione.

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