Chi sono le due vittime del dramma di Porto Marghera
Denis Zanon, 40 anni di Mestre, era dipendente della Nuova compagnia lavoratori portuali. Paolo Ferrara, 53 anni di Brugine, lavorava per la Icco Logistica di Dosson.

BARON REC FOTO FERRARA PAOLO BRUGINE BARON FERRARA PAOLO BRUGINE
DENIS ZANON
Aveva solo un sogno, Denis Zanon: un posto di lavoro fisso. Per questo, dopo aver fatto in passato anche il cuoco e il pizzaiolo, aveva accettato la vita del lavoratore a chiamata. Ora non c’è più, morto probabilmente mentre cercava di soccorrere un collega di lavoro. E a piangerlo non è solo la sua famiglia ma tutto il quartiere di Altobello, area di Mestre legata da sempre a doppio filo al mondo delle fabbriche e degli operai.
Quarant’anni compiuti lo scorso 25 novembre, Denis era conosciutissimo nella zona, per tanti era rimasto uno dei «fioi dea piassa» quella della Madonna Pelegrina, la chiesa del quartiere. Qui si respira il dolore, certo, ma anche un senso di incredulità, e la voglia di fare qualcosa di concreto in ricordo di Denis. Che si materializza subito con l’apertura di una colletta per aiutare la famiglia di Denis.
La casa dell’uomo è lì vicino, a far strada è lo stesso fratello della vittima, Massimo. Ex sottufficiale della marina, invalido civile, viveva un rapporto molto stretto con Denis. «Mi ha sempre seguito», racconta l’uomo, «per me era allo stesso tempo padre, madre e fratello. Era generoso, ricordo ancora quando accudiva nostra madre poco prima che morisse: sembrava un infermiere, alla fine i medici si erano complimentati con lui».
Denis e Massimo Zanon non avevano più i genitori, la madre era scomparsa tre anni fa, il padre nel 1997. Già, il papà, a lungo dipendente della Compagnia Lavoratori Portuali. «A volte dicevo a mio fratello di mollare il lavoro al porto», continua ancora Massimo, «che tanto avrebbe trovato subito un’altra occupazione. Aveva fatto di tutto, il cuoco, il pizzaiolo, il muratore. Ma lui mi diceva sempre di pazientare, la sua speranza era finalmente quella di avere un posto di lavoro fisso».
Maria Chiara Pistellato, la ragazza di Denis, racconta che qualcosa non la convinceva di quel lavoro al porto. «Eravamo insieme da poco più di un anno», sottolinea, «e ogni tanto alla notte lo sentivo respirare a fatica. Non era il russare di una persona stanca, era una specie di rantolo. Certo, gli avevavo fatto tutti gli esami ed era risultato che era sano come un pesce. Ma io continuavo a preoccuparmi per quello che faceva. Quello che vi dico è semplice: Denis e l’altro lavoratore sono stati messi nelle condizioni di morire».
E’ Maria Chiara a guidare i cronisti nella stanza di Denis: su una parete una bandiera dei Deep Purple, la sua band preferita, sopra un mobile le foto della madre, del padre, di un amico scomparso e di Denis bambino.
Lui lavorava a chiamata, a dicembre solo due giorni e 150 euro di paga, questo mese era arrivato a quota sei presenze: se si lamentava era perché lavorava poco. «Quando muore una persona come Denis ti chiedi se c’è un Dio», afferma disperato Maurizio Zennaro, un amico, «perché non può essere giusto che ad andarsene sia un ragazzo così buono, uno che non si è mai rifiutato di dare una mano. Dicono che è morto da eroe, ma non so quanto ci potrà consolare».
PAOLO FERRARA
"Paolo era il perno intorno a cui tutto girava e si sosteneva. Non ho mai conosciuto un’altra persona con la dirittura morale che aveva mio marito - ricorda straziata la moglie dell’operaio tragicamente scomparso - era benvoluto da tutti, qui in paese e dai colleghi di lavoro. Non ha mai negato un aiuto a chiunque ne abbia avuto bisogno. Era una persona tranquilla e pacifica. Non aveva mai coltivato alcuna passione: si occupava solo del suo lavoro e della sua famiglia. Gli piaceva molto la montagna, le sue adorate Dolomiti".
In casa con la moglie di Paolo Ferrara c’è il figlio più piccolo, Tommaso, che ha 25 anni e studia all’università. «Non so cosa dire», ha sussurrato il ragazzo tra le lacrime, soffocando i singhiozzi nel cuscino del divano che stringeva forte a sè.
Lui, come i fratelli Matteo e Attilio, gemelli di 26 anni, erano molto legati al padre. Matteo, tra l’altro, è diventato papà da poco e per poche settimane Paolo Ferrara ha potuto godersi il suo nipotino. Attilio lavora come cantante a bordo di una nave da crociera e attualmente si trova in Sud America. Per questo è stato l’ultimo della famiglia a sapere della tragedia che ha colpito il padre.
«Paolo lavorava da vent’anni per la stessa ditta, la Icco, e non aveva mai avuto problemi - ricorda ancora la moglie Violetta - capitava che si lamentasse per gli orari pesanti, perché lui faceva i turni, e qualche volta criticava la scarsa sicurezza. Ma al giorno d’oggi ogni lavoro risulta insicuro e finchè non mi diranno con precisione cosa è veramente accaduto a mio marito non mi sento di esprimere giudizi e avanzare ipotesi. Per ora la sua morte per noi è solo una disgrazia, la peggiore che ci poteva colpire».
Per tutto il giorno ieri la villetta di via Aldo Moro è stata meta di parenti amici e conoscenti che hanno portato il loro cordoglio alla famiglia di Paolo Ferrara. Moglie e figli ora aspettano solo il via libera della magistratura per poter dare l’ultimo saluto al loro congiunto.
I Ferrara non sono lasciati soli, attorno a loro si stringe tutta la comunità di Brugine. Il giorno dei funerali, infatti, sarà lutto cittadino per decisione del sindaco Silvia Salvagnin. La prima cittadina conosceva bene Paolo Ferrara e la sua famiglia. E la notizia della tragica morte sul lavoro è piombata su tutti come un macigno.
«Il lutto cittadino è il minimo che possiamo fare per dimostrare la vicinanza alla famiglia, da parte della giunta e di tutto il consiglio comunale - ha dichiarato il sindaco Salvagnin - e nei prossimi giorni mi metterò in contatto anche con il sindaco di Venezia Massimo Cacciari perché vorrei che trovassimo una forma condivisa per affrontare una questione che ormai ha assunto i connotati di una strage: le morti sul lavoro. Non basta l’indignazione del momento - sottolinea il sindaco - è necessario affrontare il problema, parlarne, fare informazione e creare una coscienza collettiva. Quando viene a mancare una persona è chiaro che è una tragedia per ogni famiglia. Per quella di Paolo Ferrara è un vero dramma: lui e la moglie Violetta - ricorda il primo cittadino - erano legati a doppio filo, sempre insieme, uniti e sereni. Per molti in paese è familiare l’immagine di Paolo che aspettava la moglie fuori dalla scuola dove lei lavora come collaboratrice: tornavano a casa a braccetto come fidanzatini. Paolo era un bravo marito e un ottimo papà, i suoi tre figli erano molto legati a lui. Tragedie come questa non sono facili da superare e lasciano un vuoto incolmabile, specie quando colpiscono famiglie così unite».
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