«Carlo, nonno delle nostre avventure» Il saluto dei nipotini commuove la città

Duomo gremito per l’addio all’imprenditore. Don Adelino esalta «il padre e il fratello, che andava oltre confini e apparenze»
PASSERINI AG.FOTOFILM TREVISO FUNERALE CARLO BENETTON AL DUOMO
PASSERINI AG.FOTOFILM TREVISO FUNERALE CARLO BENETTON AL DUOMO

«Possa il cammino venirti incontro, il vento soffiare alle tue spalle, il sole brillare caldo sul tuo volto. Cada dolcemente la pioggia sui tuoi campi, e fino al nostro primissimo incontro Dio ti conservi sulle palme delle sue mani». Il commiato estremo per Carlo Benetton, l’imprenditore scomparso a 74 anni, nel suo viaggio infinito. Don Adelino Bortoluzzi, con questo augurio, sigilla un addio toccante, in un Duomo gremito, dove mondo dell’azienda e città si toccano, finanza e cultura si mescolano, volontariato e sport si ritrovano fianco a fianco.

Nelle prime file, i figli Massimo Andrea, Christian e Leone, con le loro famiglie; le donne della sua vita, la compagna spagnola Cristine, e le ex mogli Mary e Franca, queste ultime fianco a fianco; i fratelli Luciano, Giuliana e Gilberto – ora rimasti in tre – con le famiglie. E poi i loro figli e figlie, altrettante famiglie. Generazioni di una dinasty infinita.

Dietro i mondi di Carlo, imprenditore, scalatore e sciatore, viaggiatore e atleta, dominus agricolo stregato dalla terra. I vertici dell’impero Benetton e delle sue tenute: Patagonia, Ungheria, Maccarese a Caserta. Sulla bara, portata dai rugbisti del Benetton, una gigantografia ritrae Carlo sulle “sue” montagne argentine. E nel programma del rito, altra foto: lui di spalle, minuscolo, di fronte alle sterminate distese della Patagonia. Gli spazi che amava sopra ogni cosa.

Don Adelino, consigliere spirituale della famiglia, parte dal Carlo padre e nonno affettuoso e orgoglioso («E ora la ferita delle perdita del figlio Stefano si ricuce»), dal Carlo fratello. Omaggio ai Benetton che hanno fatto della famiglia il primo motore. Quattro nipotini leggeranno poi le lettere al nonno piene di omaggi al nonno sorridente e affamato di avventure. Solo poi l’elogio all’imprenditore «che guardava oltre le apparenze e coglieva opportunità e potenzialità persino in quattro ruderi, perché era positivo, nello sguardo, oltre i pregiudizi», uomo che «andava oltre i confini, vedeva un solo mondo, grande». Esalta «passione, entusiasmo e brillante intelligenza» con cui Carlo ha compiuto «la bellissima corsa che è la vita». E si muove lungo il passo dei discepoli disorientati di Emmaus, che infine riconoscono il Cristo risorto, «buono e accogliente» (allusione all’attualità?).

Il feretro esce sulle note del “Signore delle cime”, epilogo di una colonna sonora che spazia dall’«Hallelujah» di Jeff Buckley al Morricone di Mission (e il film di Joffé non rimanda forse alla chiesa fatta erigere e consacrare da Carlo in Patagonia, dedicata a mamma Rosa?).

Luciano cede alla commozione, Gilberto è scosso (e accuserà un lieve malessere), Giuliana non ha pace («Nessuno pensava così presto»). La sconfinata dinasty incassa il lunghissimo abbraccio della città: oltre un’ora. Ai figli Massimo Christian, Andrea e Leone, alle donne di una vita – Cristine stampa un commovente ultimo bacio sulla bara – e all’ incontabile nidiata di nipoti e cugini. I più piccoli regalano l’ultimo tenerissimo flash: abbracciano la bara, non vogliono lasciarla andar via il nonno dell’avventura . —

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso