«Berto, mio padre». Ricordi di famiglia per il centenario

La figlia Antonia svela il “privato” dello scrittore. Nasce il premio legato al Campiello Giovani. I proventi sono devoluti al progetto di recupero umano e sociale di bambini di strada
Giuseppe Berto a Verona nel 1972 per la ristampa del libro "Il cielo è rosso"
Giuseppe Berto a Verona nel 1972 per la ristampa del libro "Il cielo è rosso"

MOGLIANO. «Era mio padre. Un padre che per i miei primi dodici anni di vita è sempre venuto a prendermi quando uscivo da scuola. Un papà come tutti gli altri, che ho avuto la fortuna di godermi perché lavorava a casa». Sono le parole con cui Antonia, figlia del grande scrittore moglianese Giuseppe Berto, ha ricordato la figura paterna nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita dell’autore. 1914 - 2014: cent’anni fa nasceva a Mogliano uno degli scrittori veneti più conosciuti e discussi del secolo scorso. E proprio il Liceo cittadino a lui intitolato ha dedicato all’autore de “Il male oscuro” una due giorni di convegni, “Letteratura e giovani: l’attualità di Giuseppe Berto”. Dibattiti, discussioni e approfondimenti incentrati sulla modernità di uno scrittore che ha per certi aspetti precorso i tempi, toccando nelle proprie opere anche alcuni aspetti della psicanalisi.

Un’occasione di formazione per i tanti studenti presenti al cinema teatro Busan, ma anche di interesse per puntare sulle proprie qualità: durante il meeting è stata infatti anche presentata la nuova edizione del premio di scrittura “Le città di Berto”, dedicato agli allievi delle scuole di Treviso, Venezia e Vibo Valentia (Berto visse per lunghi periodi proprio in Calabria). Una opportunità che permetterà ai primi due aspiranti scrittori selezionati di partecipare direttamente alle “eliminatorie” della prossima edizione del Premio Campiello Giovani.

Ospite d’onore del pomeriggio, tra i tanti studenti presenti in sala, la figlia Antonia, che del padre conserva una marea di istantanee davvero indimenticabili. «Ho avuto un rapporto molto bello con papà», racconta, «Da piccola la mia vita era quella di una qualunque bambina. Ricordo come fosse ora i pomeriggi in cui si chiudeva nel suo studio a scrivere, mentre io me ne stavo rannicchiata a guardarlo. Usava solo due dita per battere a macchina, e quel ticchettio mi è rimasto nel profondo del cuore». Capo Vaticano, in Calabria, è stato per molto tempo centro della vita di Berto, figura che ha lambito vari momenti della storia italiana. Dalla gioventù, con l’adesione alle ideologie fasciste, fino ai successivi ripensamenti, grazie agli incontri (in un campo di concentramento) con artisti quali Alberto Burri, vero propellente umano capace di spingerlo a mettere su carta un talento per certi versi spesso accantonato e poi esploso, con la conquista di due premi Campiello (“Il male oscuro” e quindi l’ultimo “La gloria”, del 1978).

«C’è una cosa, una delle cose più bella che credo di ricordare di mio padre»,ha sottolineato Antonia, «Lui ci diceva spesso che quando pensava alla sua famiglia si passava un dito lungo l’esterno del naso. Un episodio simile capitò durante la cerimonia del Premio Campiello nel 1964, dove vinse con “Il male oscuro”. Era lì, su quel piccolo schermo, mentre me ne stavo incantata a fissarlo di fronte alla televisione. Forse era imbarazzato e anche a disagio, in quei momenti, ma a un certo punto iniziò con quel suo caratteristico “massaggio” su una narice. Lo sentii lì, vicino a me. Il nostro segreto, il nostro codice di vicinanza». Le informazioni sulle celebrazioni dedicate a Giuseppe Berto sul sito liceoberto.it.

 

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