Beppo Tonon: «Noi? Mai visto un ristoro»

Oderzo, il titolare di Ca’ Lozzio, la cui foto divenne la primavera scorsa il simbolo della resa dei ristoratori, denuncia i ritardi
La foto di Beppo Tonon diventata il simbolo della difficoltà dei ristoratori
La foto di Beppo Tonon diventata il simbolo della difficoltà dei ristoratori

ODERZO. «Parlano del quarto ristoro per i ristoratori, ma noi dobbiamo ancora vedere i soldi che dovevano arrivare in aprile. Siamo obbedienti e la sera del 15 gennaio abbiamo solo acceso le luci del nostro locale. Ma adesso ci stanno davvero misurando la temperatura».

Beppo Tonon, titolare del ristorante-gelateria Ca’ Lozzio di Piavon, davanti a sé vede un futuro per nulla roseo. Dopo essere diventato in ottobre un simbolo della protesta dei ristoratori di tutta Italia costretti a chiudere dal primo dpcm firmato in ottobre da Giuseppe Conte, oggi mette sul piatto le difficoltà sue e di tanti altri imprenditori del suo settore.

«C'è una decina di imprese iscritte all’Ascom di Oderzo e Motta che come me non ha mai visto un ristoro dall’inizio della pandemia. E per di più i nostri dipendenti non vedono la cassa integrazione da ottobre», lamenta il ristoratore, vicepresidente dell’Ascom locale. La gelateria di Piavon, vero e proprio punto di riferimento per feste e matrimoni, ha subito un colpo durissimo dalla pandemia.

La famiglia Tonon deve ancora fare tutti i conti, ma durante l’anno scorso ritiene probabile di aver perso il 60% del fatturato rispetto a quello registrato nel 2019: «Abbiamo lavorato davvero solo in luglio, agosto e settembre. Già con il primo decreto di ottobre, quando avevamo matrimoni e cresime prenotati per tutta novembre e il sold out per Capodanno, la gente ha disdetto tutto. E oltre a non aver potuto lavorare non abbiamo visto un centesimo dei ristori di aprile, di ottobre e di Natale», protesta Beppo Tonon.

Il suo locale è famoso per i matrimoni: da qualche anno il Comune ha inserito Ca’ Lozzio nella lista dei luoghi in cui gli sposi possono convolare a nozze civili, e questo ha aiutato non poco il locale che già metteva a disposizione il proprio giardino interno. Ma non basta il crollo del fatturato.

A questo si aggiungono le difficoltà patite anche dai dieci dipendenti della struttura, tre membri della famiglia Tonon e sette lavoratori esterni. Sono questi ultimi i più in difficoltà: tutti e dieci non vedono un centesimo della loro cassa integrazione sin da ottobre, tanto che Ca’ Lozzio ha dovuto anticipare i soldi che sarebbero dovuti arrivare dall’Inps a due di loro perché non avrebbero potuto vivere senza stipendio e senza cassa-

«Ma non siamo una banca, non possiamo anticipare all’infinito senza avere alle spalle un fatturato e senza aver visto i ristori. Non abbiamo comunque nessuna intenzione di licenziare, piuttosto ci rimettiamo di tasca nostra: l’azienda non è solo nostra, ma anche dei nostri dipendenti. È gente preparata», prosegue il ristoratore, maestro riconosciuto a livello internazionale nell’ambito della decorazione dell’intaglio di frutta e verdura.

Tonon non ha condiviso la decisione di molti suoi colleghi di aprire le serrande dei locali il 15 sera, e anzi sua figlia Elena si è schierata pubblicamente dalla parte delle regole. A Ca’ Lozzio c’erano le luci accese, ma nessun cliente è entrato nel locale: «Rispettiamo le regole come abbiamo sempre fatto da quando c’è la pandemia. Abbiamo adeguato il locale alle norme in vigore, ma se il governo ci fa chiudere abbiamo per forza diritto a un ristoro. Ma se ne abbiamo il diritto, che ci mandino i soldi: è ora di finirla con le promesse. Chiediamo solo una cosa, che non continuino a prenderci in giro», è la sua protesta. —
 

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