Ascopiave tra politica e finanza: la grande partita del Nordest

Tutti i colossi italiani e stranieri in gara per le reti e il controllo del ramo vendite. Sul piatto centinaia di milioni di euro
Pucci Pieve Di Soligo sede Ascopiave Pucci Pieve Di Soligo sede Ascopiave
Pucci Pieve Di Soligo sede Ascopiave Pucci Pieve Di Soligo sede Ascopiave
 
PIEVE DI SOLIGO. Il piatto è ricco, molto ghiotto per i colossi dell’energia e del gas. Il 51 per cento di Ascotrade – quasi 700 mila clienti serviti in tutta Italia – vale 200 milioni.
 
 
E poi c’è la partnership di un gioiello della distribuzione come Ascopiave, quotata di AscoHolding, l’ultima cassaforte pubblica della Marca. Realtà piccola ma (sin qui) bella: e per giunta anche assai liquida, anzi la più liquida d’Italia. Ora che i vertici della quotata – due anni dopo le invocazioni allora vane dei soci privati – hanno imboccato la strada delle reti, le remunerative “autostrade del gas”, la politica risponde, dopo la estenuante guerra con i priovati sulla riforma Madia.
 
 
E la Lega – dominus assoluto (fino a ieri con tanto di patto di ferro con il Pd, oggi superato) dell’utility di Pieve di Soligo con il segretario veneto uscente Toni Da Re e paladina fino a ieri del legame territoriale – ha già l’asso nella manica, con cui reggere la sfida dei mercati, e nella fattispecie le 20 lettere di invito che Ascopiave ha inviato alle big del settore, in Italia e all’estero, non trascurando il Triveneto.
 
 
Un polo lombardo veneto che parte da Brescia, attraversa Bergamo, e arriva a Pieve di Soligo sull’asse Verona-Vicenza. In campo A2a, il colosso di Brescia (vale 10 volte Ascopiave) presieduto da Giovanni Valotti, presidente di Utilitalia, federazione delle utilities, docente alla Bocconi, vicinissimo a Salvini (che lo voleva ministro) e pure a Giancarlo Giorgetti; la veronese Agsm, il cui presidente Croce sarà anche sfduciato dal cda, ma senza che questo intacchi le nozze, firmate dal dg Daniela Ambrosi, con la vicentina Aim, terza partner con l’ad Gianfranco Vivian.
 
 
 
 
Un’operazione tutta nordista, a trazione leghista, che vuol tenere insieme la territorialità e il patrimoni o pubblico, la finanza dei cittadini e il mercato, contro chi già attacca l’ennesima vendita di un “tesoro” pubblico e vede rischi per il disegno politico e sociale che il senatore Francesco Fabbri creò nel lontanissimo 1956, fondando il consorzio Bim Piave, padre di Asco.
 
 
La lettera di intenti della cordata si dà tempo nove mesi, ma già dice che per i due bandi di Ascopiave – le offerte scadono il 15 aprile – c’è chi parte senza handicap. Il peso specifico non è solo quello di Salvini: Verona vuol dire Lorenzo Fontana, ministro e pupillo del Capitano, e non a caso la provincia scaligera sta prendendo il controllo della Liga veneta. Da Re voleva il polo  veneto a tre – Pieve alleato di Verona e Vicenza - assetto che avrebbe visto alla pari Ascopiave e Agsm, e un gradino più sotto Aim (il primo concambio per le nozze dice 58 Verona e 42 Vicenza).
 
 
E il segretario uscente non aveva esitato a incontrare due volte Bobo Maroni, ambasciatore di Edison Edf . La discesa in campo di A2a è stata la più evidente risposta della Lega lombarda alle manovre, per stoppare il colosso franco italiano, e per ripristinare gerarchie fra Lombardia e  Veneto, economiche e...leghiste. E perché Radiolega assicura che i piani leghisti “lombardoveneti” potrebbero domani allargarsi al Friuli, dopo il successo del governatore Fedriga? La Lega salviniana ha “corretto” il piano di Da Re.
 
 
Ascopiave dismette i clienti - i rumors dicono che i veneti finirebbero ad Agsm e Aim, gli altri ad A2a – per concentrarsi sulle reti core business. Strategia sempre contestata quando a chiederla erano i privati, ora abbracciata con una conversione degna di San Paolo. Fino al punto da metter nero su bianco la preferenzialità per chi offrirà reti, e di spiazzare chi nella Lega aveva blindato la vendita di Ascotrade e le stesse strategie benedette da Da Re fino all’altro ieri.
 
 
Oltre il cash, Ascopiave sceglie la sfida dei tubi, e la grande partita delle gare, dove si reinvestiranno gli introiti della vendita di Ascotrade (non meno di 230 milioni). C’è già chi studia i possibili incroci a Nord (a Bergamo c’è la controllata Blue Meta), chi fa pesare le 240 concessioni già detenute al Nord, nelle reti, chi attende le imminenti gare (quella di Belluno è affidata in realtà al Tar), chi già intravede futuri scenari di supermultiutility allargate ad acqua e rifiuti. Palla al cda di Ascopiave – presidente Nicola Cecconato; Dimitri Coin (Lega, deputato); Greta Pietrobon (Fi), Enrico Quarello (Pd), Giorgio Martorelli e Antonella Lillo, designati dai privati - per la sfida con Edison-Edf, Eni, Hera, Vivigas, E.On, Alperia, Dolomiti Energia, Engie. Reti e soldi, più che il contrario: uno sprint “non di solo mercato”, marchiato com’è dalla politica. E da una Lega gasatissima come non mai.
 
Il caso tiene banco a livello nazionale e crea dibattito tra politici, amministratori, imprenditori e rappresentanti delle istituzioni che guardano con interesse al futuro di Ascopiave.
 
 
Ecco l'intervista al professor Clô, ministro dell'Industria del governo Dini
 
 
 
 
Professor Clô  lei è stato ministro dell’Industria, docente di economia industriale e dei servizi pubblici, ed è stato nei cda, fra gli altri, di Eni, Iren, Asm Brescia, Snam. In Veneto e a Nordest tiene banco il caso 
Asco, l’utility che si sta riconvertendo sul piano industriale e i cui destini, dopo la guerra con i privati per la riforma Madia, sembrano essere marcati dalla politica.
 
 
«Non ritengo di dover entrare nel caso particolare, non sarebbe corretto. Resta per me un riferimento imprescindibile quello del legame con i territori».
 
 
 
 
Ma senza dubbio il caso Asco e la svolta investe il piano dei rapporti fra enti locali e finanza, fra patrimoni pubblici e mercato, al di là della stessa riforma Madia.
 
 
«Non bisogna demonizzare il mercato, ma certo si deve partire dalle finalità dell’ente pubblico. C’è una domanda che chi amministra deve porsi sempre, ed è quella di cosa significa avere a cuore gli interessi dei cittadini e della collettività, e con quali strumenti ci posso arrivare meglio. Ecco, io credo che quando si parla di servizi essenziali come acqua, energia, gas la priorità debba essere come assicurare il miglior servizio al minor costo, grazie all’efficienza. E dunque scatta la seconda domanda: come la posso assicurare? Io credo che l’ente pubblico, al momento delle concessioni, debba chiedere le massime garanzie a eventuali partner di utilities, o a concessionari privati se si parla di servizio pubblico in generale. E poi, ovviamente, assicurarsi il controllo o la sua capacità, perché non si ripeta il caso Autostrade, al di là del caso del ponte Morandi, perché la questione è veramente fondamentale».
 
 
E le aggregazioni?
 
 
«Anche qui non vanno demonizzate. Io sono convinto che piccolo non sia più bello, in settori che richiedano forti investimenti per le innovazioni tecnologiche. Se le aggregazioni vanno nella direzione di creare sinergie abbattere costi, cerare efficienza, che può anche voler dire abbassare i costi, ben vangano»
 
 
Non è che in questo modo si favoriscono i privati, in una logica estranea al servizio pubblico?
 
 
«Per quello ritengo essenziali le clausole poste dall’ente pubblico. La stessa riforma Madia andava nella direzione di fare pulizia di società con cda, senza dipendenti, o di realtà che vivevano di rendita da 20 -30 anni, senza reinvestire gli utili a favore dei cittadini utenti, ma solo facendo cassa». Allora meglio sposarsi? «Se ci si deve sposare, cedendo il controllo di una qualche attività, ad esempio di vendita, meglio farlo con chi ha le spalle grosse ed è in grado di impegnarsi nello sviluppo degli investimenti, nella qualità del servizio, nella diversificazione delle attività».
 
 
Par di capire che lei delinei un quadro di mercato temperato, che tenga conto delle istanze dell’ente pubblico.
 
 
«Diciamo così. Gli enti locali devono anche porsi la domanda “cosa faremo da grandi”? Ed è inevitabile che questo spinga verso una certa linea. Una partnership avanzata e lungimirante con il privato - perché questo deve saper fare un amministratore pubblico, guardare avanti – non è necessariamente un male, penso a Brescia che varò molti decenni fa il teleriscaldamento. O al sindaco Dozza a Bologna, e non sono di sinistra, ma nonostante avesse la quinta elementare sapeva guardare avanti, e da quelle radici è nata quella che oggi è Hera».
 
 
Secondo lei, gli amministratori di enti locali come piccoli comuni hanno strumenti per tutelarsi?
 
 
«Credo che l’importante sia restare sempre ancorati al territorio, allo sviluppo, agli standard di servizio. Per un sindaco è più importante che tutti i cittadini siano serviti, per esempio adesso della fibra ottica, del controllo stesso di una società mista. Che la comunità sia alfabetizzata digitalmente, dal momento che oggi internet è un servizio essenziale, più che essere azionista di peso e far cassa».
 
 
Proprio la guerra giudiziaria tra privati e soci pubblici, nel caso di Asco la holding, con ben tre sentenze sull’applicazione della Madia, ha ribadito il nodo del controllo pubblico.
 
 
«Attenzione, non è nemmeno necessario avere il 51 per cento, ci sono strumenti come patti sociali e parasociali che possono garantire gli enti pubblici soci. Anche perché ci sono realtà con 160-170 azionisti tutti frammentati. In ogni caso, ripeto, contano gli standard del servizio, l’efficienza, i benefici tariffari dei cittadini, gli investimenti».
 
 
 
La scelta industriale di Ascopiave di concentrasi sulla distribuzione? Nella valutazione delle offerte sarà privilegiato chi offre reti, e non solo i soldi.
 
 
«Non entro nel merito, ci sono organismi preposti, dall’assemblea al consiglio di amministrazione. Certo è importante che ci sia una programmazione, evidentemente c’è la volontà di entrare con maggior peso nel mercato dei concessionari delle infrastrutture».
 
 
 
 
Dopo l'ex ministro, ecco il punto di vista di Chicco Testa, attuale presidente di Sorgenia, ex numero uno di Enel, di Acea e di Telit
 
 
 «Non ci sono alternative, le utilities devono decidere su quale scala, territoriale ed economica, vogliono operare. E agire di conseguenza».
 
 
Chicco Testa, oggi presidente di Sorgenia, consulente dell’Aimag, società che serve Carpi e 20 comuni modenesi, ha un curriculum di vaglia nel settore dei servizi pubblici, con le presidenze di Enel e della capitolina Acea. E ancora, Telit, E.Va, la presidenza di Assoelettrica fino al 2016. Senza dimenticare la guida di Legambiente e l’esperienza di parlamentare del Pci e del Pds. Lo abbiamo sentito sulla grande partita delle utilities a Nordest, dove i bandi di Ascopiave - partnership sulla distribuzione e cessione della maggioranza del ramo vendite – diventa nevralgico negli scacchieri dell’intero Nord Italia. 
 
 
20080906 - CERNOBBIO (CO) - POL - CERNOBBIO: INCONTRO DICK CHENEY-JOSE' MARIA AZNAR. Chicco Testa, presidente della Metropolitana di Roma, oggi pomeriggio a Cernobbio in occasione del workshop Ambrosetti. ANSA / MATTEO BAZZI /DC
20080906 - CERNOBBIO (CO) - POL - CERNOBBIO: INCONTRO DICK CHENEY-JOSE' MARIA AZNAR. Chicco Testa, presidente della Metropolitana di Roma, oggi pomeriggio a Cernobbio in occasione del workshop Ambrosetti. ANSA / MATTEO BAZZI /DC
 
 
Testa, ma allora piccolo non è più bello, dopo la riforma Madia?
 
 
«Se si vuol restare piccoli e al servizio del territorio, lo si può fare benissimo restando su dimensioni adeguate, come un tempo le vecchie municipalizzate. Con i vantaggi del riconoscimento del territorio, della qualità del servizio, con le risorse per i comuni soci che certo han visto tagliati i fondi statali. Altrimenti si deve ragionare sui numeri»
 
 
Ascopiave cede il controllo di Ascotrade, quasi 700 mila clienti.
 
 
«Enel ha 30 milioni di clienti, Eni quasi 10. Sono numeri che devono far riflettere. Oggi il cliente è mobile, smart, fugge, sceglie al computer. Per questo ci si deve tarare, e sapere in quale ambito si vuol correre». 
 
 
 
Asco ha scelto la distribuzione e i tubi.
 
 
«Legittimo avere ambizioni, sapendo però che se vuoi gestire servizi anche fuori dal territorio devi essere consapevole degli investimenti necessari e della tua forza. E se sei una realtà pubblica, devi sapere cosa vuol dire mettere d’accordo i soci, le delibere, le assemblee. Ma anche fuori dalla Madia, il discorso non cambia poi molto».
 
 
Ma non dovrebbe scattare una difesa del patrimonio pubblico, rispetto alle logiche di mercato?
 
 
«Parliamoci chiaro: se si alza il livello della sfida, servono risorse, e management finanziario che il pubblico fatica ad avere. Finché sei nel tuo cortile di casa, bene. Se vai sul mercato, puoi passare solo per aggregazioni e partnership, e per forti investimenti nel management, non si scappa».
 
 
Per Asco si sta muovendo A2a, con Agsm e Aim in cordata.
 
 
«Non mi stupisce, la realtà del Nord è dominata da A2a, Hera, Iren, realtà con fatturati di miliardi».
 
 
Non ci sono rischi per il consumatore, sul piano delle tariffe?
 
 
«Non è più un problema, e la concorrenza è garantita, penso che fra poco non ci si dovrà più preoccupare della classica vecchietta che vive sola. Guardate gli sportelli: c’erano code, oggi oltre le metà della pratiche si gestisce on line, con Sorgenia facciamo ormai solo contratti digitali. La questione prioritaria è l’efficienza, insieme agli investimenti, i dividendi da produrre per i soci pubblici».
 
 
A proposito di azionisti pubblici: il nodo del controllo?
 
 
«È un falso problema. Io dico che le prospettive devono essere altre. E prendo l’esempio dell’acqua: tariffe regolate, sfruttamento in concessione, ora si punta a una legge sull’acqua pubblica, per tornare a una miriade di società di gestione, una a provincia, mentre la rete idrica fa...acqua. Costerà 15 miliardi solo liquidare i concessionari. Allora dico: meglio un mercato controllato, meglio gli investimenti e l’efficienza».
 
 
Lei è stato parlamentare del Pci e del Pds. La politica ha un ruolo preponderante, per non dire invasivo. È giusto?
 
 
«No, ma è inutile fare gli ipocriti. La politica non rinuncerà mai al suo ruolo di dominus. Però c’è modo e modo. Se un manager è bravo, non lo togli per mettere il tuo; il dividendo dei cittadini è più importante del tuo dividendo politico alle elezioni; e con il management va tenuta la giusta distanza, non si può essere ogni giorno a interferire».
 
 
A suo giudizio, la riforma Madia è stata utile?
 
 
«Non ho visto relazioni o bilanci, forse è s tata eccessiva nelle pretese. Nelle partecipate andrebbe usato il bisturi, se si usa il decespugliatore si rischia di buttar via l’erba cattiva, ma anche qualche bel fiore».
 
 
 
 
Sul caso è intervenuto anche Enrico Marchi, presidente di Save, società che gestisce l'aeroporto di Venezia. Secondo Marchi, ex advisor di Asco, l'operazione va fermata il prima possibile. 
 
 
«Sta cominciando la demolizione delle utilities del Nordest. Una distruzione. L’operazione di Ascopiave va fermata prima che sia troppo tardi, è mostruosa, aberrante, sono allibito, sconcertato, sento il dovere civile di intervenire e lanciare un grido di allarme».
 
 
Foto Agenzia Candussi/Chiarin/ Tessera, aeroporto Marco Polo/ Inaugurazione del nuovo ampliamento del terminal passeggeri - nella foto Marchi, SAVE
Foto Agenzia Candussi/Chiarin/ Tessera, aeroporto Marco Polo/ Inaugurazione del nuovo ampliamento del terminal passeggeri - nella foto Marchi, SAVE
 
 
Presidente Marchi (Save), raramente l’abbiamo sentita così ... diretto.
 
 
«Parlo da cittadino che ama il suo territorio. Si sta ripetendo quanto abbiamo visto per banche, autostrade, fiere. Le casse di risparmio venete sono andate chi con Intesa chi con Unicredit, nel 1988 le banche venete avevano la maggioranza relativa del nuovo Ambrosiano, ora Intesa. Ora in Veneto ci sono solo le braccia, le filiali, la testa è a Milano. Autostrade? Tutti a parlare di holding territoriale, e invece c’è lo spezzatino: agli spagnoli ora Atlantia la Brescia Padova, all’Anas mezza Padova-Venezia. Sedi a Roma con partecipata veneta».
 
Anche Save può avere fondi stranieri e partner…
 
«Ma mi sono sempre battuto, è scritto negli accordi, che non si può vendere a un gruppo industriale, la testa deve restare qui».
 
Torniamo ad Asco, di cui lei è stato advisor. Ascopiave vuol concentrarsi sulla distribuzione, cedere il controllo delle vendite, avere reti e diventare competitor con le aggregazioni.
 
 
«Sbagliato, perderà la vendite e anche la distribuzione. Se si vuol fare crescere il territorio, va fatta una holding veneta, da allargare a Trento e Bolzano, con testa in Veneto. A forza di aggregarsi con i colossi i veneti rischiano di tornare essere dipinti come nei film degli anni ‘60: uomini emigranti, donne domestiche nelle case dei ricchi».
 
 
Ma chi deve intervenire?
 
 
«Le istituzioni, il territorio, la politica che vuol bene al Veneto. C’è una contraddizione chiara: si vuole l’autonomia, e si vende ad Anas il 50% della Padova-Venezia. Si dice “prima i veneti”, poi si vende il patrimonio dei veneti. Registro silenzio. Forse non si comprende la situazione, non voglio neanche pensare a malafede. Non si dica che Ascopiave è in Borsa, e non si può parlare. Il socio di maggioranza è una società pubblica. Sono i sindaci i veri suoi proprietari, devono bloccare questa mostruosità. La scelta non è del mercato, ma di chi la controlla, i comuni».
 
Non è che parla da imprenditore, magari interessato?
 
 
«No. Da 30 anni mi interesso di infrastrutture e servizi di pubblica utilità, stavolta non lo faccio per lavoro, ho rifiutato mandati da gruppi per la gara di  Asco, non voglio far parte di quest’operazione a nessun titolo. Non andrò mai contro gli interessi del mio territorio, anzi ho offerto la mia disponibilità gratuita per favorirne lo sviluppo. Rivendico il mio ruolo nella crescita di Ascopiave con le acquisizioni, poi un altro management ha deciso di vivere di cedole e rendite. Ma ora qui si smonta Ascopiave».
 
 
Cosa dovrebbe fare Zaia?
 
 
«Chiamare Agsm, Verona, Aim , Vicenza e Asco, e lavorare per creare un polo veneto, vero, che stia nel mercato e cresca: 1,5 milioni di clienti sono scala più che competitiva».
 
 
Lo voleva anche Da Re, segretario della Liga. Poi Cecconato, presidente di Ascopiave, ha imboccato un’altra linea.
 
 
«Ho visto anch’io inspiegabili conversioni a U, poi è calato un silenzio assordante, tranne qualche sindaco che però non può esporsi. I comuni devono dire la loro, con la Regione devono porsi domande. Vogliamo o no una multiutility veneta, come A2a in Lombardia o Hera in Emilia? Cosa vogliamo fare con le infrastrutture energetiche venete? Unirsi, o ognuno per conto suo?»
 
La scelta di Ascopiave è industriale e strategica.
 
 
«Guardi, anche il bando...Andreotti diceva che a pensar male si fa peccato ma magari si indovina. Dire “non solo soldi ma anche reti” restringe il cerchio, e molto. I grossi player nazionali stanno volteggiando attorno ad Ascopiave e alle altre utilities del Nordest come avvoltoi. Ricordo Eni: lo si voleva liquidare, Mattei tenne duro, forse pagò con la vita, oggi c’è un colosso mondiale. Cosa sarebbe l’Italia senza Eni? Sono le scelte industriali forti che fanno crescere i territori, mantenendo ricchezze e testa in loco. Se il controllo non resta qui, non scatta il circolo virtuoso: a cascata il management di seconda fila della capogruppo può diventare prima fila di una media impresa, aiutandola a crescere. E così via. Attorno al grande gruppo crescono consulenti, fornitori, indotto: ma qui si lavora per un Veneto di braccia, cioè stabilimenti e filiali di una testa che sta altrove».
 
 
Il 23 è fissata l’assemblea di Ascopiave.
 
 
«Anche lì...si parlerà di dividendi, impoverendo il sistema pubblico di 50 milioni per pagare soci privati (Plavisgas di Malvestio, Marchetto & co, ndr). Danno e beffa: questi resteranno con lo 0,5% della holding, continueranno con le cause, ma con diverse decine di milioni di euro in più. Ma la colpa è di chi ha voluto uno statuto-monstre, che ha aperto la strada al diritto di recesso. Si dovrebbe tornare al vecchio statuto, bloccando il recesso».
 
 
Ma si dice che così resta il controllo pubblico.
 
 
«E va bene: come Hera in Emilia, A2a in Lombardia, Acea in Lazio. C’è però una questione proprietà. L’aeroporto lo gestisce Save, in concessione, poi torna allo Stato. Ma i 700 mila clienti che si cedono oggi si perdono per sempre. Lo facesse un grande fondo speculativo...non a caso Amber è contenta. Ma è questa la politica del Veneto? I nostri sindaci come un fondo speculativo? Si smontano le aziende e le si vendono a pezzi. Sono allibito. Altro che “prima i veneti”...»
 
La Lega dice di voler salvare il legame con il territorio.
 
 
«E’ l’esatto opposto. Credo che nel vedere quel che succede, il senatore Fabbri, che ideò Bim Piave nel 1956, antenata di Asco, si rivolti nella tomba. Tra l’altro, il recente ’emendamento alla Madia concede due anni di tregua per sistemare il “nodo” proprietà. L’assemblea voti no al dividendo straordinario, la holding torni allo statuto originario e fermi tutto. Anche la gara: c’è tempo. E si parta con la holding veneta, poi triveneta»
 
 
Ascotrade viene ceduta, al 51%, perché si dice che non è più redditizia.
 
 
«Al contrario, è la parte più redditizia e consente il contatto con il territorio. E poi, perché nessun’altra, neanche le piccole, cede le vendite? Tutti stupidi, in Italia, e gli intelligenti solo a Pieve? Nessuno vede che in Italia tutti cercano di comprare e solo Asco vende? Temo che Asco si troverà con un piccolo ramo distribuzione: quando ci saranno le gare, come farà a competere con Eni, Edison, Snam? Alla fine verrà rasa al suolo, spariranno centinaia di posti di lavoro. Ma spero che i sindaci abbiano la forza di fermare la spoliazione del nostro territorio»
 
 
 
 
 
 

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