Antenna Tre, un milione di tasse evase: a processo a Treviso Panto e il manager Barcella

TREVISO. Rischiano una condanna fino a due anni di reclusione l’imprenditore Thomas Panto, 44 anni, e il manager Antonino Barcella, 44, finiti a processo con l’accusa di non aver versato oltre un milione di euro di tasse. I due rispondono dell’accusa nelle loro vesti di legale rappresentante e consigliere di amministrazione di Antenna Tre Nordest, l’emittente di San Biagio di Callalta fatta esplodere alla fine degli anni Ottanta dal padre di Thomas, Giorgio Panto, e ora, dopo molte traversie, di proprietà dell’editore della concorrente Rete Veneta.
l’inchiesta. Panto e Barcella sono finiti a processo per omessi versamenti negli anni d’imposta 2012 (entrambi), 2013 e 2014 (solamente l’imprenditore). Le cifre sono importanti e mostrano chiaramente la crisi economica in cui era entrata l’emittente di San Biagio. Secondo la Procura infatti si tratta di 508.250 euro nel 2012, 296.834 euro nel 2013 e 300.012 euro nel 2014 per una cifra complessivamente superiore al milione e centomila euro. Antenna Tre era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Treviso nell’ottobre del 2016. Successivamente il curatore, Roberto Cortellazzo Wiel, aveva depositato una richiesta di risarcimento danni milionaria nei confronti degli ex amministratori Panto e Barcella.
Secondo la curatela, gli ex amministratori non sarebbero stati esenti da colpe gravi nella conduzione della televisione, travolta da un mare di debiti e andata successivamente all’asta. All’epoca del fallimento il tribunale aveva percorso la strada del “fallimento di continuità di esercizio” accogliendo l’offerta di acquisto da 1,4 milioni di euro presentata da Filippo Jannacopulos, l’editore di Rete Veneta. Dopo una lunga trattativa tra le parti la proposta è terminata con il passaggio di proprietà e l'aggiudicazione del ramo d’azienda dell'informazione a Rete Veneta. L’operazione aveva permesso il salvataggio di 36 posti di lavoro tra giornalisti e tecnici, sui 54 dipendenti dell'emittente.
i guai giudiziari. Nei mesi scorsi Panto era finito a processo anche per il reato di insolvenza fraudolenta. In quell’occasione l’ex patron di Antenna Tre era stato trascinato in tribunale da due ex pubblicitari, in forza alla Dinamo srl, la società che si occupava della promozione di contratti di vendita di spazi televisivi. Si trattava di padre e figlio, Marco e Giuseppe Vernier, entrambi di Casale sul Sile.
La vicenda risaliva all’aprile del 2016 quando in tribunale i due, che avevano promosso un’azione di pignoramento attraverso un decreto ingiuntivo nei confronti della Dinamo srl di cui Panto era legale rappresentante, avevano raggiunto un accordo in virtù del quale, l’allora patron della concessionaria s’impegnava a corrispondere loro le provvigioni che avevano maturato: 43.000 euro lordi a Marco Vernier e di 16.000 a Giuseppe. L’accordo prevedeva che padre e figlio, in cambio, rinunciassero alla procedura esecutiva. Panto aveva anche dato ai due alcuni consistenti assegni postdatati, ma quei titoli, da lì ad un paio di mesi dall’accordo tornarono insoluti “per difetto di provvista”. Da qui il procedimento penale.
la panto finestre. Intanto è di pochi giorni fa la notizia che la Panto Finestre, divenuta uno dei simboli dell’imprenditoria veneta dopo l’epopea del suo fondatore Giorgio Panto, sarebbe stata , salvata dagli arabi. È stata infatti dichiarata improcedibile la richiesta di concordato, presentata in autunno al tribunale fallimentare di Treviso, grazie a una maxi iniezione di liquidità del socio di maggioranza, Abu Taleb Mohamad, dal 2014 al timone della società. Secondo il tribunale, che ha dichiarato conclusa la procedura di concordato lo scorso 22 febbraio, ora «ci sono i presupposti per risolvere la crisi».
Sembrava disperata la situazione della Panto solo cinque mesi fa, al momento della domanda di concordato. Debiti, commesse col contagocce, stipendi in ritardo, turnover dei dirigenti. Un quadro precario reso più cupo dalle notizie di cronaca sulla figlia di Taleb, arrestata un anno fa in aeroporto a Venezia perché trovata con due proiettili nel bagaglio.
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