Addio a Gigetta Ruggeri, aveva 107 anni Il suo volto era “patrimonio di umanità”

Si è spenta nella sua casa di Col San Martino la nonna delle colline del prosecco: «Lucida fino all’ultimo» 

il ritratto

«Alora no se ’vea gnent e se gera contenti, des l’è pien de tut e quei che ha, pì i vol». L’avevamo lasciata così, ai primi di febbraio, al termine di una conversazione densa di ricordi: serena e lucida come sempre, con lo sguardo distaccato dal mondo, un sorriso generoso e due occhi dentro ai quali ci si poteva specchiare. Gigetta Ruggeri si è spenta nel suo letto, nella sua casa di Col San Martino, acciaccata dopo una caduta in casa. Aveva compiuto 107 anni lo scorso ottobre. La sua famiglia è stata una delle dinastie pioniere della viticoltura nel Quartier del Piave. Suo fratello Luciano fu tra i fondatori dell’azienda che ancora porta questo cognome.

Pochi anni fa il suo volto e i suoi occhi espressivi diventarono l’immagine della mostra del prosecco di Santo Stefano con il coraggioso slogan: «Il mondo di Gigetta Patrimonio di Umanità». Una provocazione di Miro Graziotin, l’eretico rettore dell’Università dei ripetenti, che pose i riflettori sui protagonisti più autentici di questo territorio. Dal governatore Luca Zaia al sindaco di Farra di Soligo, in centinaia hanno espresso il proprio cordoglio per Gigetta.

Ancora poche settimane fa amava ricordare il tempo trascorso con un pizzico di orgoglio: «Sono nata il 22 ottobre 1912 a Santo Stefano di San Pietro di Barbozza, perchè allora c’era il Comune» spiegava agevolmente, «prima di cinque fratelli: Ausilio, Gerardo, Angelo e Luciano. Io la più vecchia». E giù a ricordare il giorno che saltò il ponte di Vidor: «Ero bambina e dovevamo andare dalla zia Eurosia a Crespignaga - raccontò - arrivamo a Vidor e vedemmo il ponte saltato in aria, dai nostri. Tornammo indietro». La profuganza a Tarzo, la povertà, il padre sul Carso. E poi il Ventennio: «I fassisti? Eh, i a fat combatar, portaron via mio fratello, che poi riuscì a scappare». E la figura di Toni Adami, il partigiano ucciso dai tedeschi nel marzo 1945: «Da noi era di casa, sua mamma cucinò al mio matrimonio, mio papà era il suo santolo. Lo chiamavano l’avvocato perchè aveva studiato, era giusto di carattere, ha sempre cercato di fare del bene alle persone, era di animo buono».

E poi gli anni in cui cominciò lo sviluppo della viticoltura, dopo la seconda guerra mondiale: «I vigneti erano andati tutti distrutti, mio padre tornò da Conegliano con tre viti e iniziò a piantarle, ricordo ancora dove. Fecero raccolto fino a poco tempo fa».

Luigia Ruggeri ricordava di essere nata alla fine di ottobre, «in piena vendemmia» perchè allora si vendemmiava tardi. «Mia mamma mi raccontava che era di mercoledì, verso mezzogiorno». Sposata a 27 anni con Arrigo Dorigo, Gigetta ha avuto due figli: Giovanni e Giovanna, la figlia con la quale viveva e che l’ha accudita fino all’ultimo giorno. Vedova dal 1953 fino a quando ha potuto, nonna Gigetta faceva ancora da mangiare, la domenica: «polenta, polastro e patate» il suo menu. «Una volta - raccontò nonna Gigetta - ci si voleva bene e si andava tutti d’accordo, oggi vedo poca carità, ognun par conto suo». Quanta umanità.—

DANIELE FERRAZZA

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