A Treviso rischiano i 150 addetti precari del Lando

Il direttore del personale: «Siamo preoccupati, i costi aumentano». Nella Marca categorie contrarie, sindacati divisi
TREVISO 4-4-2006 IPERMERCATO LANDO STRADA FELTRINA ipermercato lando
TREVISO 4-4-2006 IPERMERCATO LANDO STRADA FELTRINA ipermercato lando

TREVISO. Non è una minaccia, quella del direttore del personale dei negozi Lando, ma un avvertimento sì: «Siamo molto preoccupati per la possibilità di ripristinare le causali nel rinnovo dei contratti a termine» afferma Flavio Canton, «noi abbiamo 15 punti vendita in Veneto di cui tre a Treviso, su una popolazione di 1.500 lavoratori ci sono 150 interinali.

Le causali creeranno grossi problemi all’organizzazione sindacale, aprendo la strada a possibili vertenze con i lavoratori, tempi e costi maggiori». Il “non detto” del Lando è che quei 150 potrebbero rischiare il posto, se il prolungamento del loro contratto dovesse diventare una corsa a ostacoli. Insomma, il decreto ipotizzato dal ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, per ora ha generato un’alzata di scudi da parte delle categorie. Mentre i sindacati sono divisi: scettiche Cisl e Uil, più possibilista Cgil.

Le categorie . Il fermo “no” degli industriali e degli artigiani, che hanno parlato di «atto ostile alle imprese», è ribadito, nella Marca, dal presidente di Ascom-Confcommercio Renato Salvadori: «Il ripristino delle causali sui contratti a termine è inaccettabile, rende la vita delle imprese complicata e le assunzioni soggette a continui rischi di cause legali. Il Decreto Poletti ha dato il via nel 2014 ad una forte ripresa delle assunzioni partendo dall’eliminazione delle causali».

Nel settore terziario di Marca dal 2013 al 2014, in virtù della modifica sui contratti a termine, il numero di assunzioni era aumentato di quasi il 10 per cento. Nel successivo anno 2015 lo sgravio contributivo sui contratti a tempo indeterminato aveva poi portato a un aumento delle assunzioni del 130 per cento sul 2014. Perplessità espresse in particolare dagli esercenti, che - ricorda la presidente di Fipe, Dania Sartorato - nel 2017 avevano siglato 3.300 contratti a tempo. Di questi, oggi è ancora attivo circa il 65 per cento: «Nel nostro settore la flessibilità è fondamentale» spiega Sartorato, «abbiamo mantenuto i posti di lavoro nei periodi in cui gli altri lasciavano a casa le persone. Abbassare il periodo massimo di rinnovi a tempo determinato significa costringerci a metterci davanti a una scelta prima del previsto, con il rischio che qualcuno ne approfitti per lasciare a casa chi c’era già e assumere qualcuno di nuovo».

I sindacati . «Il presupposto - bisogna semplificare la normativa dei contratti a termine - è valido, la modalità di attuazione assolutamente no» esordisce Cinzia Bonan, segretario generale Cisl Treviso Belluno, «fare proposte di questo tipo senza condividerne il processo con le parti sociali non è il modo migliore di procedere. E abbassare il tetto massimo a 24 mesi anziché 36 non ridurrà il fenomeno della precarietà».

Più convinta Cgil, con il segretario Giacomo Vendrame: «Oggi il sistema è distorto, qualche correzione può fare bene. La direzione è giusta, perché i tempi determinati oggi si utilizzano anche quando potrebbero usare le forme a tempo indeterminato. L’utilizzo reiterato dei contratti a termine lo conosciamo bene. Su durata e causali siamo d’accordo, ma i provvedimenti andranno valutati nel loro insieme».

Chiosa finale per Michele Gervasutti, Uil: «Abbassare il tetto da 36 a 24 mesi è un palliativo. Il problema è che la reintroduzione della causale spaventa le aziende: è una forma di rigidità che potrebbe costare diversi posti di lavoro. La strada da seguire, secondo noi, è fare in modo che il tempo determinato costi più del tempo indeterminato». —

 

Argomenti:economialavoro

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso