14 novembre 1985, il cuore di Francesco torna a battere nel petto di Ilario

TREVISO. Ci sono eventi che restano nell’immaginario collettivo, ma intimo di un popolo, di una nazione, di una città. Il tempo poi inevitabilmente ci priva dei protagonisti, anche dei testimoni. La notte tra il 13 e il 14 novembre 1985 è rimasta nell’anima di Treviso e dell’intera Padova. E non stupisca se poi, quindici anni dopo, in occasione di un referendum a ridosso del 2000, alla fine del Novecento, proprio il professor Vincenzo Gallucci sia stato votato come il padovano del secolo, come colui che maggiormente ha inciso nella storia, nelle glorie del suo popolo.
È stata una notte irreale quella del 14 novembre 1985, difficile da descrivere, perché consumata in un luogo che nulla ha di simile a tanti set cinematografici e televisivi che le fiction degli anni a venire ci hanno poi regalato in così larga serie. Nulla da medici in prima linea, niente a che vedere con la raffigurazione del dio medico capace di capire, interpretare, e pertanto sconfiggere, la morte. I corridoi, gli scantinati, che avvolgono le sale operatorie di Cardiochirurgia del Policlinico di Padova, dipingono contorni irreali.

Ogni ombra, ogni strumento, ogni apparecchiatura abbandonata assumono sembianze spettrali. Nonostante l’apparente calma, l’intero ospedale sa. È a conoscenza che qualcosa di fantastico sta per avvenire. Il destino ha incastrato perfettamente i mattoncini della vita. Ha tragicamente scelto il ragazzo più bello, più forte, più generoso e lo ha trasformato nel donatore ideale. Francesco Busnello, vive a Treviso, ha 17 anni quando con il suo Ciao, il motorino preferito di quegli anni, si scontra con un’auto. Le sue condizioni sono disperate. I medici dichiarano la morte cerebrale.
A Padova, un altro dramma rischia di compiersi, da settimane è ricoverato un uomo di Vigonovo, Ilario Lazzari, affetto da miocardiopatia dilatativa. Solo un trapianto di cuore lo può salvare. Nei giorni precedenti un lungo tiramolla con il ministro alla Sanità, Costante Degan, si conclude con la sospirata autorizzazione ai trapianti in Italia. Vincenzo Gallucci, il cardiochirurgo mantovano che aveva presentato richiesta per effettuare trapianti di cuore già nel 1978, può finalmente operare. Il cuore di Francesco è espiantato nell’ospedale di Treviso. Il cuore di Francesco, così giovane, si contrae in maniera vigorosa, viene imballato in un contenitore di plastica, immerso in un liquido congelato, acqua e ghiaccio.

Alle 3 e 10 una Mercedes grigia si muove dal “Ca’ Foncello”: alla guida Giovanni Stellin, al suo fianco Gallucci, dietro Giuseppe Faggian. Il corteo è aperto e chiuso dalla Polizia Stradale a far da scorta verso il Policlinico di Padova dove c’è già un uomo con il petto aperto: è Lazzari. È una serata nebbiosa, come queste, con il manto stradale reso scivoloso. Il destino si sta compiendo anche se un altro piccolo brivido è concesso a una scenografia che ha ritmi cadenzati. La Mercedes prima di imboccare l’autostrada che porta poi alla fettuccia di Mestre, e da lì sulla Serenissima, ha una leggera sbandata.
È solo un attimo, superato da sorrisi che però tradiscono la tensione, la consapevolezza dell’essere a un passo dal cambiare i destini di migliaia di italiani. Intanto Ilario a Padova è messo in circolazione extracorporea, gli tolgono il muscolo cardiaco. Non si tratta di rimuoverlo completamente, bensì si asporta a livello di atri, lasciando in sede sia la parte posteriore che quella delle pareti.

Il reparto di Cardiochirurgia è già sprangato dalla mezzanotte. L’arrivo di giornalisti da tutta Italia colora il clima delle sensazioni da grande evento. Decine di inviati, sembra di essere tornati ai tempi di Enrico Berlinguer e ancora una volta Padova è al centro del mondo. Sono le 4, si comincia. Fuori un velo di foschia regala umidità e una leggera pioggerellina. L’ospedale dorme, in una sala operatoria medici e infermieri in verde stanno compiendo un miracolo. Ad accompagnarli c’è la musica, le note di Beethoven, quelle preferite da Gallucci, che avvolgono uomini, donne e oggetti, speranze e sogni, dolore e scienza. Le mani di Gallucci si muovono comequelle di un maestro d’altri tempi, come quelle di un mago, di un illusionista che riesce a incantare. Ma la sua è una magìa intrisa di scienza e sapienza. Accanto al maestro ci sono Mazzucco e Bortolotti.
Alla testa del letto operatorio una lista con la sequenza dei passaggi che Carlo Sorbara e Giuseppe Faggian scandiscono con intensa attenzione. Attorno, fuori, c’è l’attesa, i giornalisti che vagano tra corridoi silenziosi e ambulatori sprangati, alla ricerca delle macchinette del caffè. Bisogna far passare la nottata. Dentro, nella sala operatoria dove si sta compiendo il miracolo della vita che toglie alla morte per restituire alla vita, si procede con fasi chirurgiche composte, non concitate, condotte con geometrica precisione. Il cuore di Francesco è suturato con le pareti atriali e collegato con l’arteria polmonare e l’aorta, per ristabilire la circolazione coronarica. Poi è espulsa l’aria dalle cavità cardiache. Il cuore di Francesco risulta più piccolo di un quarto rispetto a quello di Ilario, creando qualche problema. Del resto Busnello pesa 70 chili, Lazzari 85. Ma, miracolosamente, il cuore nuovo di Ilario riparte spontaneamente a ritmo sinusale, senza bisogno di stimolo elettrico. Al primo battito la perfusionista Luigina Stievano non sa trattenere un applauso. Gallucci, che ha usato la tecnica messa a punto dai colleghi cardiochirurghi di Pittsburg, finalmente ha vinto le sue tante battaglie.

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