Viviani e quelle bici “nate” a Treviso e divenute d’oro a Rio

TREVISO. Fontane, 7mila anime alle porte di Treviso. Da una parte la Piavesella, dall’altra la Strada Ovest. Il trionfo olimpico di Elia Viviani, prima medaglia veneta a Rio, nasce nella frazione villorbese. Laddove si forgiano bici invidiate in tutto il mondo. Se esistesse un titolo costruttori, lunedì l’avrebbe vinto Pinarello: sesto oro olimpico nella storia di un marchio che in luglio ha firmato il dodicesimo Tour con il terzo sigillo di Froome.
Il progetto-Viviani è scattato cinque anni fa, in via ufficiale nell’ultimo biennio con l’approdo del veronese al Team Sky e il meticoloso studio avviato dall’équipe dei Pinarello per mettere a disposizione di Elia il migliore materiale possibile in previsione della contesa olimpica con Cavendish e gli altri califfi della pista. L’olimpionico dell’Omnium - le radici trevigiane non si limitano ai mezzi, visti i trascorsi da dilettante alla Marchiol con doppio squillo alla Popolarissima – aveva fatto tappa nella “fabbrica dei gioielli” in gennaio per scannerizzare la sua posizione in bici e garantirsi un manubrio su misura. «L’abbiamo costruito in titanio sinterizzato, realizzandolo sull’impronta dei gomiti e degli avanbracci», ricorda Fausto Pinarello, presidente del colosso, «I dati raccolti sono stati inviati a Southampton, in Inghilterra, dove è entrata in azione una stampante 3D». Alta tecnologia, particolari che possono fare la differenza. «Come la ruota anteriore con mozzo più stretto. La stessa del record dell’Ora di Wiggins». Il costo del supermanubrio? 9mila euro. Dei Bolidi HR o delle bici da inseguimento? 18mila. Viviani ne ha portate otto a Rio, comprese le Maat per eliminazione e corsa a punti. «Quando è caduto nell’ultima prova mi si è gelato il sangue», confida Fausto, fornitore dei i pistard azzurri, «Dopo Londra 2012 se lo meritava: ha i piedi per terra e nel lavoro sa farsi capire. Il progetto ha più anime: noi partner della Federazione, ma anche i tecnici Cassani e Villa, vero cuore pulsante degli ultimi successi della pista. Spero l’oro di Viviani porti più ragazzi sui velodromi: la pista aiuta a correre su strada. Frattanto guardiamo già a Tokyo 2020, puntando anche su Ganna e i quartetti». Il primo titolo maturò su strada a Los Angeles ’84 con lo statunitense Grewal. Seguirono Collinelli e Indurain ad Atlanta, Ullrich a Sydney e i fratelli Curuchet a Pechino.
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