L'intervista/ Boban: «Genitori, il talento non va spinto»

CONEGLIANO. «Il genitore deve fare il genitore. E non il genitore sportivo. C'è altro, oltre lo sport. A casa non ho alcuna maglietta appesa o trofeo in vista. I figli, se vogliono, scopriranno». Zvonimir Boban ha nella chiarezza il suo marchio di fabbrica. E, quando serve, non disdegna frecciate. L'analisi è un efficace riassunto della personalità dell'ex stella rossonera e del senso di un convegno che al Teatro Accademia di Conegliano ha radunato campioni di svariate discipline.
La nona edizione della "creatura" di Gabriele Gava, ex arbitro di serie A e oggi vice designatore del torneo cadetto, è un trattato di "fenomenologia del talento". La regia della Sezione Aia di Conegliano, la conduzione frizzante di Fabio Tavelli supportato da Leo Turini, Boban a guidare idealmente una pattuglia variegata e pluridecorata composta dall'ex arbitro internazionale Stefano Farina, l'ex ginnasta Jury Chechi, la schermitrice paralimpica Beatrice Vio, l'ex fiorettista Margherita Granbassi, l'ex pallavolista Andrea Lucchetta e l'ex fondista Cristian Zorzi. Ragionare sul talento significa chiamare in causa nuove generazioni e genitori. «I giovani ai tempi dei social rischiano di non avere più modelli in carne e ossa», ammonisce "Lucky" Lucchetta, «E anche nella pallavolo è cresciuto l'elemento aspirazionale. Ho assistito a scene drammatiche fra ragazzini e genitori». Zorzi si accoda: «Oggi si viziano troppo i figli. Spesso genitori che non sono riusciti ad affermarsi, cercano il campione nel figlio». Farina, oggi designatore alla Can B, guarda alla sua categoria bersagliata dalle serie minori: «Molti genitori portano a calcio il figlio, ritenendo di fare un investimento. Se non si pensasse così, forse si troverebbe meno tensione sui campi di periferia».

Granbassi rimarca invece un altro aspetto: «La scherma è fra gli sport più individuali e competitivi, ma è merito anche delle famiglie se si diventa campioni». Non mancano però i talenti sprecati: «Ce ne sono stati tanti. Penso a Bobo Vieri, Balotelli e Coco», attacca Lucchetta. Boban annuisce in parte: «Vieri ha fatto bene, gli altri due molto male. I più grandi? Federer e Maradona appartengono a un altro pianeta». Ma sul talento si potrebbe discettare all'infinito: «Non so quanto abbia influito sulla mia carriera», racconta "Zvone", quattro scudetti e una Champions con il Milan, «Abbastanza talentuoso lo ero, ma la predisposizione non basta. Servono tanto lavoro, passione, amore, rispetto per la disciplina e lo stesso talento. Non è un caso che i giocatori di medio livello diventino i migliori allenatori. Lippi, Capello o Guardiola sono oggi fra i primi al mondo, perché da calciatori avevano subìto il minore riconoscimento mediatico. Discorso opposto per i talenti. Che da tecnici fanno più fatica. Mancini? Non è un grande allenatore». La disciplina fu decisiva per l'ex trequartista: «Quando arrivai al Milan ero lo "sconosciuto croato", quasi non ci credevo di poter parlare con Van Basten. Fu lo zoccolo duro italiano a insegnarmi a vivere per il calcio. Fu il Milan a trasmettermi il concetto di squadra e di lottare fino in fondo. Talento a parte, solo così si diventa veri campioni. Credo che il Milan della stagione 1992-93 sia stata fra le squadre più forti in assoluto».

Il talento forgiato dalla vicinanza con altri campioni, ma anche dall'ambiente: «Berlusconi ci aveva inculcato la mentalità vincente», aggiunge l'opinionista televisivo, «Quando non vincevi, gli uscieri di Milanello non salutavano e i camerieri servivano piatti ben diversi. Appresi la cura del dettaglio, il direttore sportivo Braida mi chiamava a casa: "Se non vuoi allenarti, te ne puoi anche andare"». Ma ciascuno ha un percorso diverso. «Io non avevo talento», si schermisce Chechi, che indica nel tennista Federer il migliore asso della nostra epoca. Farina cita invece Bolt: «Madre Natura gli ha assicurato una grande dote, ma è stato bravo a sfruttarla». Granbassi spiazza: «Vezzali è il più grande talento con cui mi sia confrontata, la più grande campionessa di tutti i tempi. Se devo però indicare un talento puro, mi viene in mente Maradona». Bebe Vio non ha dubbi: «Mi ispiro al fioretto di Vezzali, Di Francisca, Errigo e Grambassi. Ma non dimentico Alex Zanardi».
Mattia Toffoletto
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