L’epopea Agnoletto continua a Giavera

Andrea allena, il figlio Marco e il nipote Piero giocano

Questa è la storia di otto ragazzini, di una Befana povera ma benedetta e dei figli di un paio di quei ragazzini.

Questa è l’epopea degli Agnoletto, che hanno rappresentato, al loro tempo, una grossa fetta della storia del calcio trevigiano. In buona parte genio e sregolatezza, in piccola parte sacrificati alla concretezza di un posto di lavoro stabile, in piccolissima parte (uno su otto) romanticismo puro della pelota, con tanto amore e poco senso della diplomazia.

La storia degli Agnoletto, ai vecchi (e non troppo) cultori del calcio trevigiano, è nota e appartiene alla piccola epica locale.

Ma a risvegliare i ricordi, quest’anno, è stato Andrea detto “Lela”, che, dato definitivamente per pensionato, insieme a pochi amici ha ridestato l’orgoglio dei cittadini di Giavera e si è rimesso al timone di una squadra che vanta, tra i suoi effettivi, il nipote Piero, capitano della squadra, e il figlio Marco, jolly che a 43 anni ha ancora un fisico in cui confidare a oltranza. Insomma, non si può dire “piccoli Agnoletto crescono”, ma certamente la saga non s’è ancora consumata.

Gli Agnoletto che erano entrati nella “geografia maggiore” del calcio, prima della “coda” rappresentata da Piero (ex Treviso) e Marco (ultima squadra prima del Giavera, il Ponzano), erano stati Paolo detto “Pallino “, uno che tanto per dire aveva giocato nella Fiorentina di De Sisti e Antognoni, Mario detto “Vecchio”, talentuoso – a detta dei fratelli – ma che ha fatto una scelta di stanzialità e quindi ha sposato un altro lavoro, Pio (detto Pio, ma il pulcino non c’entra), che è fuggito dal pallone verso le bocce (è il papà di Piero). Il più bravo? Secondo tutti era Mariano, detto ”Nane”, Alessandria, Pordenone, Sant’Angelo Lodigiano in C, che, come tutti i talenti naturali, non ha disdegnato – senza pentirsene – gli agi della vita, forse a discapito di una più luminosa carriera calcistica.

Ma ad offrire il destro per quest’articolo è senza dubbio il Giavera guidato da Andrea detto “Lela” e nel quale giocano Piero - sempre - e Marco quando ha il tempo di allenarsi almeno due volte la settimana.

«Piero», racconta mister Lela «è un talentaccio, anche fisico, ma soprattutto di carattere. È uno che in campo non molla mai e sul quale qualsiasi allenatore può far conto. È rimasto schiacciato dalle vicende del Treviso, ma avrebbe potuto emergere a livello professionistico. Marco, mio figlio, è un’anima fantastica per fare spogliatoio, per tenere insieme i compagni. A 43 anni e con un lavoro impegnativo, non gli si può chiedere di dannarsi con il calcio, ma è integro fisicamente e se riesce ad allenarsi due volte a settimana, lo butto dentro. Piero è una mezzapunta, Marco va dove serve, dal centrocampo alla difesa, generosamente. Siamo partiti piano, con molte difficoltà, ma adesso la s quadra è compatta e stiamo lottando per entrare nei playoff. Certo, è terza categoria. E non c’è da scialare. L’unica ricompensa è una serata a tavola ogni settimana, con portate a volontà. Il clima è fantastico e mi sembra di tornare indietro di una vita».

E così ci offre il destro per parlare della Befana degli Agnoletto. Che storia sia, lo racconta lui stesso. «A casa nostra non c’erano sciali e papà s’imponeva di fare con poco. Per la Befana» perché una volta c’era la Befana e non Babbo Natale e per la mia famiglia è ancora così «papà aveva un regalo unico per tutti e otto i figli: un pallone da calcio. Con quello ci divertivamo tutti. Una certa propensione e la voglia di sfruttare fino in fondo quel pallone, facevano il resto. Ecco spiegato il calcio degli Agnoletto. Ecco spiegata anche la mia vicenda sportiva. Da calciatore di serie B e C con la valigia in mano su e giù per la Penisola, poi allenatore di Treviso, Conegliano, San Donà, Giorgione. Tecnicamente, come allenatore, non invidiavo molti colleghi. Ma non avevo il dono della diplomazia. Così andai ad allenare i giovani. Da due anni mi ero ritirato a vivere con mia figlia a Cusignana, ma Giavera era a due passi, la voglia è rispuntata, ho trovato un amico che... era messo come me, animato dalla stessa voglia, poi sono arrivati anche altri innamorati della resurrezione del Giavera e... ed eccoci in Terza categoria, amici, con voglia di far festa. Nessuno prende soldi, ma ci si diverte molto e adesso la squadra va anche bene, per cui la voglia cresce. Sono anni difficili per tutti, figuriamoci per il calcio minore e ultraprovinciale. Ma nessuno, in questa squadra, ha pretese, non si parla di soldi o di rimborsi spese».

L’unica gioia da condividere è la cosiddetta “grande mangiata” del venerdì sera, dove non si risparmiano i bis di lasagne, musetto, dolce. Il “romantico Lela” guarda i suoi ragazzi mangiare di buon appetito e non si sogna di vietare o rimproverare. Poi domenica si va in campo e si cerca di vincere. E nel Giavera ci sono tre Agnoletto da tener d’occhio. Il più bravo è in panchina? Molti dicono di sì, ma sono i soliti nostalgici. Quelli che ti prendono da una parte e ti dicono: «Lui e i suoi fratelli hanno inventato il gioco del paletto». E tu chiedi cos’è. «Negli spazi piccoli non c’era posto per la porta. Facevi gol solo se prendevi in pieno uno dei due paletti piantati su due lati opposte. Roba di grande precisione». Da piedi... Agnoletto.

Toni Frigo

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso