Leggendaria Porcellato, è argento a 51 anni «Il mio motto? Crederci sempre, mollare mai»

Mattia Toffoletto / TOKYO
Infinita, eterna, ineguagliabile. Se Bebe Vio è lo spot mondiale del paralimpismo, Francesca Porcellato fa rima con leggenda. I numeri dicono tutto: alla vigilia dei 51 anni (li compirà il 5 settembre), la Rossa Volante fa coincidere l’undicesima partecipazione a una Paralimpiade con la medaglia numero 14. E, non bastasse, nella crono (H1-H3) che ha aperto il programma del paraciclismo, riesce pure a migliorarsi: argento, dopo il bronzo di Rio 2016.
Da pioniera del paralimpismo, i primi due titoli nell’atletica a Seul ’88 quando le dirette tivù erano una chimera, a esempio straordinario di longevità. Un mito della polivalenza che ha raccolto podi in tre diverse discipline (c’è stata pure l’incursione ai Giochi Invernali nello sci di fondo), spingendosi sempre oltre. Perché con Francesca ogni traguardo rappresenta un punto di partenza, ogni medaglia racchiude un nuovo obiettivo da raggiungere. Ogni Paralimpiade, a dispetto dell’età, non è mai l’ultima.
«Con me mai dire mai», ha già premesso prima di volare a Tokyo e regalarsi l’ennesima soddisfazione sul circuito del Monte Fuji. Concetto ribadito con al collo la terza medaglia del paraciclismo (dopo i due bronzi di Rio), sganciando una battuta che esalta l’eternità sportiva della fuoriclasse di Poggiana, trapiantata da una ventina d’anni a Valeggio sul Mincio: «Si vede che sono come il vino rosso: più invecchio, più miglioro».
Ed è probabile che, nelle ultime ore, la mente abbia viaggiato parecchio, ripensando anzitutto all’approccio casuale con l'handbike: la utilizzava per gli allenamenti estivi dello sci di fondo, il “corteggiamento” insistente del cittì azzurro Mario Valentini e il desiderio di scommettere per l’ennesima volta su stessa. In Brasile era diventata la prima paratleta al mondo a collezionare medaglie in tre sport, a Tokyo riesce a salire di un gradino. Un capolavoro che riempie Francesca d’entusiasmo. Perché alle imprese non ci si abitua mai, perché la riesina riesce a vivere qualsiasi gara con lo slancio del primo giorno.
Un messaggio per la vita di tutti i giorni. Che la campionessa sintetizza con efficacia sui social: «Se è un sogno, non svegliatemi. Crederci sempre e mollare mai». Insegnamenti di vita che trovano ulteriore sottolineatura nelle dichiarazioni del dopogara (titolo alla tedesca Zeyen, oggi la prova in linea): «Un risultato che mi dà tanta gioia, perché dopo tutti questi anni sono ancora sul tetto del mondo. Il mio motto è “crederci sempre, arrendersi mai”: sono orgogliosa di me stessa, di essere italiana e contribuire a far crescere lo sport paralimpico».
Ma Porcellato è pure modesta: lei lo sport paralimpico non l’ha fatto crescere, l’ha quasi tenuto a battesimo. Certo, le Paralimpiadi, per la prima volta, si disputarono a Roma 1960. Ma cosa sarebbero oggi, senza le Porcellato che negli Anni Ottanta e Novanta si prendevano sulle spalle un movimento dai numeri esigui e lo facevano conoscere al mondo intero con imprese memorabili? Cosa sarebbero senza le battaglie delle pioniere, che hanno assicurato visibilità e prestigio, ispirando le nuove generazioni? Spingendo migliaia di ragazzi disabili a praticare sport, uscendo dal cortile di casa? Ma l’ultima impresa di Porcellato, paraplegica da quando aveva 18 mesi per essere stata investita da un camion, s’arricchisce di significati extra-sportivi. E non solo perché le sue gesta sono esempio per tutti, perché la sua grinta diventa scuola di vita. Non sfugge, alla cerimonia di premiazione, lo sguardo rivolto al cielo. Anzi, a chi è lassù mostra pure la medaglia d’argento. Ed è facile intuire il riferimento al fratello, scomparso un paio d’anni fa: «Ne aveva quattro più di me, ma ci sentivamo gemelli», ha raccontato in una precedente intervista, «Un fratello speciale. Un compagno di giochi che mi ha aiutata tanto nella mia condizione di disabile. Il mio più grande tifoso. Ora è un angioletto, cui spero di riservare a Tokyo una dedica particolare».
Detto, fatto. Impreziosendo il mondo dello sport per l’ennesima volta. Per la gioia del marito-allenatore Dino Farinazzo e dei familiari a Poggiana: mamma Rita, le sorelle Flora e Silvana, i dieci nipoti. —
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