Gava: «Quando da piccolo insultavo l’arbitro»

Il vicedesignatore della B racconta la sua vocazione:L «La moviola in campo? Ci andrei prudente»

TREVISO. Serata interessante ed istruttiva quella organizzata da Panathlon Treviso da Migò: ospite Gabriele Gava, 41 anni, vice designatore arbitrale della serie B e lui stesso direttore di gara in serie A fino al 2012. C’era anche Giacomo De Marchi, presidente dell’Aia trevigiana.

Gava, prima di illustrare con dei filmati varie situazioni di gioco che richiedono preparazione e prontezza di riflessi, ha parlato della sua carriera iniziata quasi per sbaglio: «Mio padre Franco era arbitro, io pensavo solo a giocare, quando poi ero sugli spalti insultavo gli arbitri per emulare gli adulti, i quali non pensano che quello potrebbe essere loro figlio. Poi improvvisamente ho cambiato idea. E subito decisi che volevo arrivare in serie A perché nello sport, come nella vita, serve un po‘ di ambizione: ogni arbitro ha un traguardo da raggiungere, in ogni caso deve dare tutto se stesso. La prima direzione fu Sanfiorese-Santa Giustina, 1991, l’ultima Juventus-Atalanta, 2012, l’addio di Del Piero. Già, io poi sono proprio di San Vendemiano...".

Come sono gli inizi di un arbitro? «E’ una scuola di vita, un percorso formativo. A 15-16 anni ci si confronta con gente più anziana ed in pochi istanti bisogna prendere una decisione, per cui si deve avere una maturità che i pari età spesso non hanno. Si impara ad assumersi responsabilità: a volte i più giovani subiscono delle violenze ed il Veneto non ne è immune: a 18 anni presi un pugno. A quel punto smetti o diventi più forte. Comunque il presidente dell’Aia Nicchi contro la violenza sta facendo una grande battaglia». Debutto in A: 4 dicembre 2005, Sampdoria-Empoli 2-0, nel 2006 il premio Giorgio Bernardi per il miglior debuttante.

«Occorre una grossa preparazione mentale per isolarsi da tutto il resto e pensare solo a fare bene il proprio lavoro. In campo ero un duro, mi facevo rispettare e tuttora ho la stima di tanti giocatori, ma non tutte le partite vanno arbitrate allo stesso modo, bisogna capire il clima tecnico-agonistico. Comunque all’estero ho notato più serenità, i giocatori sono più disciplinati, in Italia c‘è l‘indole latina...» In tv proliferano trasmissioni e dibattiti. «Non le guardavo mai: l’arbitro è sempre il miglior giudice di sé». La moviola in campo? «Le regole non le decidiamo noi ma l’Ifab. Personalmente ci andrei cauto, la moviola snatura il calcio: per certe azioni continuative che facciamo, lasciamo giocare e poi torniamo indietro?».

Silvano Focarelli

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