Bruseghin: «Ciclista? Ora contadino»

VITTORIO VENETO. C’è un alpino-contadino, lassù in Piadera, che non rimpiange nulla di ciò che è stato. Anche se ciò che è stato ha fatto di lui un personaggio di spessore nazionale, ora destinato a diventare ciò che si definisce “ex” . C’è un alpino-contadino, che all’anagrafe fa Bruseghin Marzio, anni 39, ex ciclista professionista, che ha dentro di sé tante storie e tanta saggezza maturata a suon di piogge, neve, faccia sporca d’asfalto, caldo da scoppiare, freddo da battere i denti, bronchiti da curare in corso d’opera, capitani da consolare, ordini da eseguire controvoglia. Vallo a spiegare a quei fighetti dei calciatori o a quei culi-asciutti dei baskettari e dei pallavolisti.
Quella del 2012 è stata la sua ultima stagione in corsa. Dopo 23 anni da ciclista, di cui 16 da professionista (Brescialat,Banesto, iBanesto, Lampre, Caisse d’Epargne, Movistar). Dal 2004 al 2010 è stato anche azzurro. Gregario per vocazione, è stato anche capitano, facendo di necessità virtù. Insomma. uno che ha una storia. Adesso fa il contadino, in mezzo ai suoi amati asini, tra i filari dai quali trae il suo prosecco “Amets” (in basco significa Sogno), nell’azienda agricola che porta il nome di San Maman, e dà ampia soddisfazione allo spirito leghist-anarchico che lo anima da sempre. Hanno provato a disciplinarlo in tanti, dai direttori sportivi alle morose: niente da fare.
Dopo 16 anni da professionista, hai chiuso. Cosa immaginavi quando hai cominciato a gareggiare?
«Come mi immaginavo, vuoi dire? Non m’immaginavo certo professionista in giro per il mondo. Ma, una volta cominciato con il ciclismo, visto che mi riusciva davvero benino, ho cominciato a immaginarmi al Giro d’Italia. Il grande ciclismo era quello: da bambino ti metti lungo la strada e fai il tifo per il Giro. Per la corsa, intendo, per un’emozione».
Non avessi fatto il ciclista?
«Avrei fatto il contadino. Ma siccome non avevamo terra in famiglia, pur di restare in contatto con la natura e gli animali, avrei fatto la guardia forestale. Restare nel ciclismo infatti non mi tenta: ecco realizzato il sogno. Con i soldi guadagnati correndo, mi sono fatto l’azienda agrituristica».
E se avessi dovuto ripiegare su un altro sport?
«Da ragazzino giocavo a calcio. Ma ero difensore, anzi stopper-killer, palla o uomo era lo stesso».
Hai iniziato in Brescialat, ma poi sei stato tra i primi a emigrare in una squadra straniera. La Banesto, orfana di Indurain.
«È vero, non ho avuto paura. E sono cresciuto molto. Forse ho anche perso un po’ di tempo, ma lì mi hanno lasciato capire tutto in pace. Ho pure imparato lo spagnolo».
Bella roba stare in mezzo a gente di tutti i Paesi. Quante lingue sai?
«Ah, poche in realtà. Lo spagnolo sì, l’italiano a volte, il dialetto bene, l’inglese qualcosa e, incredibile perché è la lingua del ciclismo, il francese niente».
E come vi capivate, in gruppo?
«Con una specie di esperanto nel quale anche i gesti, i moti e le occhiate contano».
È vero che i ciclisti non guardano i panorami?
«Io sì, e non sono l’unico. A me piace vedere dove vado».
La miss più bella?
«Non ho vinto molto e quando ho vinto ero così indaffarato a fare altro, che mi sono dimenticato di guardare bene».
Il direttore sportivo più forte, motivante?
«Ferretti, sempre sul pezzo»
Il compagno più stimato?
«Tchmil, anche lui guardava i panorami. Ci si intendeva. E oggi in Specialized può ancora dare moltissimo al ciclismo».
Quello che meritava di più?
«Secondo me Gatto. Quando ha cominciato mi sono detto: dove va quello sovrappeso? Invece il Giro lo ha finito: uno di qualità».
Quello sovrapprezzato?
«Le meteore sono state tante, promesse da dilettanti ma che tra i pro...».
Pantani era un campione?
«Per me sì. Personalità fragile? Sì, ma non in corsa».
Legalizzare il doping?
«Per me sì. Tanto, con tutta la gente che sta nel limbo del “sai o non sai”, non si parte mai sullo stesso piano».
Ma è un pessimo messaggio per i ragazzini.
«Il pessimo messaggio è quello che siccome Balotelli è bravo a giocare a calcio, allora gli è permesso tutto. Non dimenticate che anche Coppi si bombava, eppure è passato alla storia».
Mettiamo che ti sposi, improbabile: manderesti tuo figlio a fare il ciclista?
«Non farei niente per portarcelo, troppo duro. Ma se lo volesse lui, non lo fermerei. I Moser, i Rabottini, i Gavazzi junior? Un po’ di Dna e un po’ di emulazione, ma son bravi.
Adesso con prosecco, olio e compagnia bella ti sei creato un paradiso...
« Lavorar ’na pasùda, ma sior mai. Ci sarà da vivere, ma non da fare i ricchi. Certo il futuro passa per agricoltura e il turismo. Se qualcuno lo capisse...».
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