Unicredit. Giacomin: "Profumo ha violato le regole, dimissioni doverose"

"Sapeva dell'ingresso dei libici e noi l'abbiamo appreso dai giornali". Il manager trevigiano di CassaMarca nel board che selezionerà il successore del banchiere: «Strategico il ruolo delle Fondazioni, non dobbiamo difenderci dai tedeschi»
TREVISO. Nel «comitato governance» chiamato a scegliere il nome del successore di Alessandro Profumo alla guida del gruppo Unicredit siede anche il trevigiano Francesco Giacomin, 59 anni, manager di grande esperienza, espressione dell'azionista Fondazione Cassamarca. Dopo la riunione-fiume del consiglio di amministrazione di lunedì sera, Giacomin tornerà in piazza Cordusio già questo pomeriggio, quando ragionevolmente si comincerà a a sfogliare il dossier del «dopo-Profumo».


Il ristretto comitato - cinque persone più il presidente Dieter Rampl - si è dato pochi giorni di tempo per la scelta di un manager «dal profilo internazionale e dall'elevata autorevolezza». Ventiquattrore dopo il drammatico consiglio di amministrazione che ha prima sfiduciato e poi costretto alle dimissioni l'ex amministratore Profumo, Francesco Giacomin racconta delle ragioni del siluramento, delle pressioni romane, dell'ingresso dei libici (la cui quota oltre il 5% sarà probabilmente sterilizzata ai fini del voto), della paura della Germania e di una banca che, archiviata la stagione della «S3», ha deciso di tornare decisamente sul territorio.


Semplificazione, internazionalizzazione e specializzazione sono le parole d'ordine del modello di Banca Unica. A Bossi, che adesso agita lo spettro Germania, risponde: «Non ci deve preoccupare per niente, i tedeschi si sono sempre comportati correttamente con noi e Rampl è riuscito ad essere la sintesi perfetta tra gli azionisti. Ricordiamoci che la Germania è il primo mercato italiano all'estero, con un modello eccellente di business e di istituzioni: per le nostre imprese è vitale un rapporto con la Germania».


Giacomin, quali sono le ragioni della risoluzione del rapporto con Alessandro Profumo?
«Il consiglio di amministrazione ha ritenuto il comportamento dell'amministratore delegato non in linea con le regole di governance. Queste stabiliscono i poteri del presidente, del consiglio di amministrazione, dell'amministratore delegato. Quando c'è esondazione di competenze è dovere degli amministratori intervenire».


Allora ha ragione Dino De Poli quando dichiara: «Faceva e taceva».
«Il personaggio Profumo è autorevole, poco incline alla negoziazione, non ama il compromesso. Ha un'idea della banca che ruota attorno all'amministratore delegato. Più volte, in passato, siamo arrivati vicini al punto di rottura, ma abbiamo sempre fatto prevalere le ragioni della stabilità al rispetto della governance. Stavolta è accaduto l'opposto»


E avete colto a pretesto l'ingresso dei libici.
«E' singolare che il presidente di Unicredit apprenda dalla stampa l'acquisto di pacchetti azionari importanti da parte di investitori stranieri. L'amministratore avrebbe dovuto mettere al corrente presidente e consiglio di amministrazione».


Un addio apparso a molti rocambolesco.
«Nei giorni scorsi sembrava che si potesse condividere una risoluzione consensuale. Poi è cambiato qualcosa e si sono rafforzati i tavoli legali. Per evitare ulteriori e dannosi logoramenti si è deciso di chiudere comunque entro la mezzanotte».


Non le sembra clamorosa una buonuscita di 38 milioni di euro?
«Non è un gesto di liberalità da parte di un gruppo di amministratori allegri, ma la corretta applicazione di un contratto di lavoro. Del resto ora tutti ci chiedono di individuare un manager di alto profilo internazionale e autorevolissimo: non credo che questa figura possa accettare trattamenti economici molto differenti».


Quando sceglierete il nuovo amministratore?
«Presto, questione di settimane. Ma non dimentichiamo che il Cda ha affidato al presidente tutte le deleghe esecutive. E Dieter Rampl non è un signore di passaggio, ma un signor banchiere. Ha guidato Hvb prima della fusione con Unicredit, è un banchiere di esperienza internazionale».


Qual era il clima durante la riunione?
«Non c'è stato alcun dramma, ma eravamo tutti consapevoli e le decisioni sono state unanimi. Dal punto di vista umano c'è l'amarezza di una decisione che riguarda una persona con la quale abbiamo lavorato e abbiamo sviluppato negli anni rapporti umani e relazioni anche personali».


Francesco Giavazzi sostiene che Profumo è vittima dei modesti e miopi potentati locali.
«Quella dei feudi locali, attribuiti alle Fondazioni, è una fissa di Giavazzi. Mi sembra però che sia un osservatore disattento, un po' ingrato e di scarsa memoria. Unicredit è figlia della strategia delle Fondazioni e del lavoro di Profumo. Se non c'erano le Fondazioni, che hanno deciso l'iniziale fusione delle banche, non ci sarebbe stata l'apertura a Est, lo sviluppo, la fusione con Hvb. E De Poli ha avuto un ruolo di ascoltato stimolatore di questa strategia, molto al di là di quanto dica la sua partecipazione azionaria».


L'uscita di Profumo è una vittoria della Lega?
«Mi sembra un'interpretazione impropria. E' chiaro che sappiamo cosa pensa la Lega, ma tutti gli amministratori hanno agito in piena autonomia e non abbiamo mai registrato ingerenze della politica».


Tremonti ha consumato il telefono.
«Durante il consiglio di amministrazione abbiamo deciso, tutti, di non rispondere alle telefonate. E molti di noi lo hanno fatto per tutta la giornata».

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