Quattro angeli per gli orfani ucraini
I progetti: interventi sulle strutture di Kiev e un programma di reinserimento in società per i più grandi. Manca tutto, dai medicinali al cibo. Andrea Bianco e tre soci creano una onlus per aiutare bambini e ragazzi
TREVISO. Ha adottato una bambina in Ucraina, ha toccato con mano le condizioni disperate degli orfanotrofi nel Paese dell'ex Unione Sovietica, ha deciso di fare qualcosa. Non poteva fare altrimenti. Una questione di occhi, di sguardi, di lacrime e di sorrisi che lanciano scosse al cuore. Oggi la sua onlus, con sede a San Biagio di Callalta, raccoglie fondi per cancellare quelle schegge di inferno in un Paese martoriato dalla disperazione, dall'alcolismo, dalla povertà. E' la storia di Andrea Bianco.
Soldi per ristrutturare gli orfanotrofi, le strutture d'accoglienza dei ragazzi più grandi, per creare laboratori che insegnino loro a lavorare, a costruirsi un futuro. Bianco, con altri tre soci, ha dato vita alla fondazione no profit «Children future project».
Bianco, ci racconta perché ha deciso di farlo?
«Nel 2002 io e mia moglie abbiamo adottato una bambina ucraina. E' stato un percorso lungo e duro, soprattutto dal punto di vista emotivo. Ho visto da vicino le condizioni degli orfanotrofi, davvero drammatiche. Non potevamo non fare nulla, e abbiamo pensato di sfruttare le nostre risorse per dare una mano. Così è nata la onlus, a febbraio di quest'anno».
Condizioni drammatiche, dice. Quali sono?
«Il paese sta attraversando una situazione economico-politica difficile. A farne le speso sono le fasce più deboli, anziani e bambini. Le risorse sono poche, il Paese spende la metà del proprio Pil per l'approvvigionamento di risorse energetiche dalla Russia. Le famiglie e la società stessa sono quotidianamente minate da vere e proprie piaghe sempre più dilaganti quali l'abbandono dei minori, divenuto spesso una “necessità” per la sopravvivenza dei piccoli, e l'alcolismo, molto diffuso. Secondo stime attendibili, nel 2003 erano circa 147.000 i bambini che vivevano negli orfanotrofi, in strutture fatiscenti, e che non ricevevano una adeguata alimentazione».
Come intervenite?
«I progetti sono di due tipi: strutturali e individuali. Quelli strutturali riguardano gli immobili: sistemare camere, bagni, garantire condizioni di vita decenti. Gli interventi individuali puntano a un aiuto ai ragazzi più grandi, di 16 anni, che devono lasciare per legge l'istituto ma non hanno una famiglia che li ospita, non hanno un punto di riferimento, non hanno mai vissuto la vita reale. L'impatto con la nuova realtà per loro è spesso devastante con la conseguenza di abuso di alcool, prostituzione, inserimenti nella malavita. Non riescono a ricostruirsi una vita perché non l'hanno mai avuta. La percentuale di suicidi è altissima, dieci per cento».
Voi cosa fate?
«L'idea che abbiamo è quella di ristrutturare una parte di 400 metri quadrati dell'orfanotrofio “Numero 12” di Kiev e di creare quattro laboratori per i ragazzi più grandi. Poi cercheremo di allargare il progetto ad altri orfanotrofi. La nostra volontà è di permettere ai ragazzi di imparare un lavoro, in modo da avere gli strumenti per ricostruirsi una vita. E poi allo Stato mancano i soldi, negli orfanotrofi c'è bisogno di un sacco di cose: medicinali, vestiario, viveri».
Come funziona?
«Gli obiettivi sono di favorire e incentivare lo studio nelle scuole professionali, aiutare alla gestione delle spese quotidiane, creare degli obiettivi individuali da raggiungere, fornire un supporto finanziario mensile che li responsabilizzi nell'uso del denaro».
Che emozioni le dà poter aiutare questi bambini, questi ragazzi?
«Fortissime, ogni volta che ci vado si rinnovano, crescono. Abbiamo a che fare con bambini e ragazzi meravilgiosi, spettacolari: non possiamo non aiutarli, e restarcene qui assuefatti alle nostre piccole ansie quotidiane. Lì possiamo fare un grandissimo lavoro, chiediamo ai trevigiani di darci una mano».
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