Aborto, l’affondo di Moraglia: «Dalla fecondazione è già vita»
Il Patriarca di Venezia dal pulpito nella celebrazione per i defunti: un riferimento inatteso che fa discutere

«Con la fecondazione c’è già vita umana. Intervenire significa, quindi, spegnere una vita». Così, ieri, il patriarca di Venezia Francesco Moraglia ha inserito l’aborto nell’omelia per la commemorazione dei defunti.
Improvvisamente, dopo una riflessione sul cristianesimo, sui comportamenti di un buon cristiano che «se non vive in maniera diversa da chi non crede allora significa che la sua fede è spenta», ecco che Moraglia ha virato sull’interruzione volontaria di gravidanza.
Un cenno veloce, en passant, per poi procedere velocemente verso l’argomento successivo, l’uomo che è «come un mistero, in cui il biologico è un tutt’uno con il soprannaturale».
Eppure, le parole di Moraglia non sono cadute nel vuoto. Qualche fedele ha alzato improvvisamente gli occhi verso l’altare, un paio di giovani, sedute negli ultimi banchi della chiesa del cimitero di San Michele si sono tirate una gomitata a vicenda.
Certo, si sa quale sia la posizione della Chiesa sull’aborto. Anche Papa Francesco durante il suo pontificato non è mai stato così duro come sull’interruzione volontaria di gravidanza: «È come affittare un sicario», aveva detto nel 2018, a pochi giorni dall’approvazione da parte del consiglio comunale di Verona di una mozione della Lega per finanziare associazioni cattoliche che portano avanti iniziative contro le interruzioni volontarie di gravidanza.
E, sulla stessa scia, il patriarca Moraglia nel 2021 aveva criticato la campagna pubblicitaria sulla pillola abortiva comparsa sui vaporetti, iniziativa promossa dall'Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (Uaar). Sui banner, una donna sorridente e la scritta «Pillola abortiva, una conquista da difendere».
Moraglia aveva scosso la testa: «L’aborto è un problema pre-religioso, umano. La fede viene dopo. Lasciare una donna a gestire nell'anonimato e solitudine la decisione di escludere la vita di un nascituro, significa abbandonarla».
Lo scorso anno, infine, l’ennesimo affondo dei vescovi contro la legge 194, che ha garantito il diritto di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. «Dobbiamo constatare come alcune interpretazioni della legge 194/78, che si poneva l’obiettivo di eliminare la pratica clandestina dell’aborto, nel tempo abbiano generato nella coscienza di molti la scarsa o nulla percezione della sua gravità, tanto da farlo passare per un “diritto”», scriveva la Cei, guidata dal cardinale Matteo Zuppi.
C’era la cronaca, a giustificare i precedenti. Casi che avevano scosso l’Italia, proposte della politica che avevano riacceso il dibattito, banner pubblicitari e volantini sui vaporetti, microfoni avvicinati alle labbra e domande incalzanti. Ieri, 2 novembre, non c’era nulla. Nel freddo di una mattinata troppo umida e senza sole, ecco che le frasi di Moraglia hanno contribuito a raffreddare l’atmosfera.
Nessuno probabilmente immaginava il riferimento ai feti, il sottile parallelismo con la ricorrenza dei defunti. Ecco, allora, che con l’omelia di ieri il tema, il diritto alla vita che inevitabilmente stride con il diritto di autodeterminazione delle donne sul proprio corpo, torna alla ribalta.
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