Il patriarca Moraglia: «Che il 2026 porti una pace disarmata e Trentini a casa»

Riflessioni sulla guerra, sul pontificato, sul cambiamento epocale dettato dall’Ai. «Confido che i veneziani indichino se vogliono una città da vivere o per turisti»

Eugenio Pendolini
Francesco Moraglia, 71anni, nominato patriarca da papa Benedetto XVI nel 2012 Presiede la conferenza episcopale triveneta
Francesco Moraglia, 71anni, nominato patriarca da papa Benedetto XVI nel 2012 Presiede la conferenza episcopale triveneta

Dalla necessità di una pace disarmante come antidoto alle violenze nel mondo fino all’appello affinché le leadership mondiali pensino al bene dei popoli, passando per la necessità di una Venezia che resti a misura di famiglie e per l’appello alla liberazione di un veneziano come Alberto Trentini, che nel mondo ha seminato solidarietà e che ora, da oltre 400 giorni, si trova nelle carceri venezuelane.

Il bilancio dell’anno che si chiude porta con sé, per il patriarca di Venezia Francesco Moraglia, anche gli auspici per un 2026 all’insegna del dialogo.

Patriarca Moraglia, Come è stato questo 2025?

«Un anno che ha segnato una svolta epocale. C’è stato il passaggio di testimone fra Francesco e Leone XIV e il Papa, chiunque sia, incide più di quanto si pensi a livello globale. È stato il primo anno di Trump, con la sua politica “America first” e i dazi, e l’Europa si è trovata più “sola” e chiamata a ripensarsi non solo in termini di difesa ma di progetto. Poi la pervasività dell’Intelligenza Artificiale e le grandi proporzioni delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente con la tragedia umanitaria nella striscia di Gaza. Non dimentichiamo, infine, i gravi e crescenti episodi di antisemitismo».

Quali aspettative ha per l’anno nuovo che è alle porte?

«Se intendiamo quali desideri, allora, una pace disarmata e disarmante, come chiede Papa Leone e, per questa, ci vorrebbe a livello planetario (ma non la vedo) una leadership politica in grado di ragionare non secondo la vecchia logica dei blocchi ma a partire dal bene dei popoli. La guerra non giova a nessuno, neppure a chi pensa di poterla vincere; questo vale per la Russia, Israele e per gli altri 56 luoghi dove oggi si combattono guerre nel mondo».

Più volte ha rimarcato il rischio che Venezia diventi una città-prodotto che si offre al turismo. Qual è il suo auspicio affinché Venezia mantenga una dimensione umana? E quali aspetti sono prioritari per garantire il futuro ai suoi residenti?

«Confido che i veneziani dicano loro alla politica, assumendosene la responsabilità, quale città vogliono: una città reale, a misura delle famiglie che vi risiedono, o una città virtuale, “non abitata”, che arricchisce solo alcuni e tutta “dedicata” a quanti ne visitano, per poche ore, i luoghi-simbolo? Un’immagine mi pare significativa: Venezia “grembo materno” che accolga e faccia crescere chi la ama e la abita rinnovandone la grandezza».

Papa Francesco, nella sua visita del 28 aprile 2024, aveva chiesto particolare attenzione alla tutela di un tesoro delicato come la città di Venezia, sia da un punto di vista sociale che di salvaguardia ambientale. Stiamo facendo abbastanza per salvare Venezia?

«È cresciuta, in tutti (ma non abbastanza), la consapevolezza culturale circa la custodia dell’ambiente. Dio, per quanto riguarda il bello, è stato generoso con Venezia. La speranza è che si converga su alcuni “fuochi” investendo e valorizzando il bello, nel rispetto della fragilità del territorio, considerando la sostenibilità a 360° (non, quindi, un solo aspetto) per quanti vogliono continuare ad abitarla».

Le nuove generazioni vivono una condizione di precarietà eppure forti si fanno sentire i movimenti a tutela dell’ambiente. Quale invito sente di rivolgere ai giovani?

«Innanzitutto ricordino che i cicli storici (e culturali) hanno un inizio e una fine. E saranno proprio loro ad aprire il nuovo: l’attuale, infatti, con i suoi pregi e difetti, risulta estenuato. Li esorterei a prepararsi. Non basta, però, proporsi di rispettare l’ambiente, bisogna avere anche le necessarie motivazioni (e gli anticorpi) per maturare prospettive ispirate ad un’ecologia integrale di tutta la persona e del bene comune. La figura attualissima di Francesco d’Assisi li può aiutare; nel 2026 ricorrerà l’ottavo centenario della morte e sarà l’occasione per riscoprire le forti radici spirituali che sorreggono questo geniale cantore del creato».

Come legge i primi mesi di pontificato di Papa Leone?

«Mi colpisce lo stile pacato, mai sopra le righe. Nei discorsi rilevo il costante richiamo alla persona di Gesù Cristo e il consequenziale riferimento ad un’antropologia compiuta che lo esprima, nell’oggi, in fedeltà al Vangelo».

Il lavoro sta vivendo una grande trasformazione. In passato disse che c’è bisogno di una «nuova alleanza tra tutte le parti sociali e a tutti chiedo onestà e di dire tutta la verità, di dirla fino in fondo». Come valuta la situazione al giorno d’oggi?

«Il lavoro non dovrebbe essere terreno di scontro e, invece, talvolta lo è, anche in modo ideologico. È necessario riflettere affinché i lavoratori e le lavoratrici non siano terreno di conquista da parte di nessuno ma, piuttosto, siano riconosciuti nei loro diritti e doveri di persone. Dobbiamo porre attenzione al cambiamento d’epoca che stiamo vivendo con l’intelligenza artificiale; è in atto, infatti, un cambio di paradigma che già segna e segnerà sempre più - in maniera inimmaginabile -, il mondo del lavoro ma non solo questo, anche quello della scuola, della ricerca, del commercio, dell’industria. Siamo di fronte ad un cambio di civiltà. Non tutti sembrano comprenderlo e pochi sono pronti ad affrontarlo sul piano etico ed antropologico».

Il 2025 si chiude con conflitti sanguinanti e preoccupanti. Nuove tensioni internazionali spingono al riarmo. Più volte Lei ha invitato a non restare indifferenti di fronte alle violenze del mondo ma cosa possono fare i singoli?

«Con rammarico si prende atto che ci sono uomini che vogliono la guerra e non si può far finta che non sia così. La politica e la diplomazia rimangono le uniche strade percorribili; devono, però, essere in grado di far sedere i vari soggetti intorno ad un tavolo non per far quattro chiacchiere ma per affrontare davvero la questione della pace, con argomenti convincenti per tutte le differenti sensibilità. Le persone sono chiamate ad elaborare una vera cultura di pace (non un astratto pacifismo) da argomentare sul piano etico, socio-culturale e politico. Bisogna dire, con chiarezza, che la guerra è sempre una sconfitta anche per i vincitori. I credenti, poi, sono chiamati a riscoprire come le religioni - se presentano il vero incontro con Dio - siano il vero antidoto ad ogni guerra».

In Venezuela è detenuto da più di 400 giorni Alberto Trentini, un cooperante umanitario “colpevole” di solidarietà verso i più bisognosi. Quale appello si sente di fare per la sua liberazione?

«Trovare un capro espiatorio è segno di una visione tribale della politica che nega se stessa se pensa di esprimersi con atti di ritorsione verso persone inermi. L’appello che desidero fare, anche a nome di moltissimi veneziani, è semplice: liberate Alberto! Che possa ritornare, al più presto, a casa e riabbracciare mamma Armanda, papà Ezio e i suoi amici».

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