Neonati lasciati morire la Procura: nessun reato
La procura di Treviso ha deciso di archiviare l'inchiesta sui neonati senza speranza lasciati morire al ca'Foncello di Treviso. Il procuratore Fojadelli ne ha dato l'annuncio diffondendo una relazione scritta da sostituto procuratore Giovanni Valmassoi (nella foto), che pubblichiamo integralmente.

IN FOTO IL PM GIOVANNI VALMASSOI
Il pubblico ministero letti gli atti osserva:
l'iscrizione del presente fascicolo a registro "atti non costituenti notizia di reato" trae origine dalla pubblicazione, con successiva ampia eco sui mass-media, di un articolo apparso sul Corriere della Sera del 23/11/2008.
In tale articolo, secondo la giornalista, nell'ambito di un convegno "di bioetica" tenutosi a Padova, un medico dell'ospedale di Treviso, la dott.ssa Nadia BATTAJON, aveva dichiarato di aver "staccato la spina" ad un neonato e, inevitabilmente, tale presunta dichiarazione, per altro amplificata da un titolo a piena pagina, provocava forte attenzione da parte di tutti gli organi di informazione.
Questo ufficio procedeva alla acquisizione della cartella clinica relativa al caso indicato dalla BATTAJON, con allegata relazione clinica a firma del prof. SAIA, direttore della struttura complessa di patologia neonatale dell'ospedale di Treviso, ed anche dei seguenti documenti:
"L'accompagnamento del bambino e della sua famiglia al momento della dellafine della vita" del Comitato di Bioetica dell'Ospedale Civile di Treviso;
"Mozione sull'assistenza.a neonati e bambini afflitti da patologie o da handicap ad altissima gravità e sull'eutanasia pediatrica" del Comitato Nazionale per la Bioetica;
"Le cure palliative del neonato terminale" della Società Italiana di Neonatologia;
"Rianimazione primaria del neonato e cure palliative nel neonato" della Terapia intensiva e Patologia Neonatale del Dipartimento di pediatria dell'azienda ospedaliera di Padova;
Va premesso che oggetto della presente valutazione può e deve essere esclusivamente l'eventuale inquadramento nell'ambito delle categorie giuridiche penalmente rilevanti, della scelta di desistenza/interruzione di cure del neonato, senza che vi possano essere contaminazioni con valutazioni di natura medica, morale o religiosa.
E' ovvio, ma pare opportuno ribadirlo, che nessuno può interrompere una vita od anticipare la sua conclusione (salvo i casi di rifiuto consapevole di cure) e, certamente ed indiscutibilmente, ciò vale anche per i bambini nati con gravi patologie od handicap.
E', d'altra parte, dato condiviso dalla comunità scientifica, dal sentire della collettività, dalla stesso sistema delle norme ed dagli interventi giurisprudenziali, che "...la decisione di interrompere trattamenti medici futili, non proporzionati, privi di alcuna credibile prospettiva terapeutica per il paziente, va sempre non solo ritenuta lecita ma addirittura eticamente doverosa per impedire che nemedica si trasformi in accanimento terapeutico "(mozione del Comitato Nazionale per la Bioetica).
Quindi, come autorevolmente affermato dal Comitato Nazionale per la Bioetica e come unanimemente riconosciuto, esistono limiti alle cure e tali limiti sono rappresentati dalla futilità/inutilità delle stesse-cure ed hanno come scopo proprio quello di garantire il vero e genuino ðe rispetto della stessa vita umana all'atto della sua naturale conclusione, evitando risposte sproporzionate o forme di accanimento terapeutico.
Pertanto, quando le condizioni del paziente (neonato, adulto od anziano che sia) sono tali da escludere che intraprende roseguire i trattamenti sanitari possa portare ad un miglioramento delle condizioni di sopravvivenza od assicurare, nel breve, medio o lungo periodo che sia, una stabilità o miglioramento delle condizioni di vita, è doveroso non intraprendere o comunque sospendere i trattamenti che sono divenuti cioè inappropriati.
Il rispetto delle condizioni sopra indicate, esclude ogni possibile rilevanza penale del comportamento medico di non azione/interruzione del trattamento terapeutico perché non vi è alcun atto di lesione del bene giuridico tutelato dalle norme dell'ordinamento, costituito dalla vita o dalla integrità fisica, che vengono lese dalla malattia e non dalla "non azione medica"; non vi è alcun comportamento imprudente od imperito e, tantomeno, non vi è alcuna dolosa volontà di cagionare lesioni o provocare la morte del paziente.
La sospensione dei trattamenti terapeutici in questi casi casinon può essere riassunta in alcuna delle fattispecie penalmente rilevanti proprio perché.manca in radice qualunque forma di antigiuridicità del comportamento, inteso come contrarietà a norme giuridiche codificate o regole di diligenza o perizia che possono essere pretese dal cosiddetto modello astratto (homo eiusdem generis et qualitatis) di riferimento.
Ora, nel caso in esame, i medici hanno, può dirsi doverosamente, rispettato i limiti imposti alle cure così individuati dai protocolli scientifici e dalle indicazioni di natura sia etica che deontologica. Non è compito del magistrato sostituirsi al medico nella valutazione di opportunità di sospendere trattamenti terapeutici, laddove non vi è contestazione, per cui potrebbe essere già sufficiente prendere atto della decisione medica e riconoscerne la irrilevanza giuridica ma è, comunque, opportuno, evidenziare come il neonato,(è ciò è facilmente ricavabile anche per i non addetti ai lavori dalla lettura della cartella clinica presentava condizioni di criticità "... scadute condizioni generali, peggioramento dei parametri respiratori e delle pressioni arteriose... ventilazione ad alta frequenza..peggioramento cardiocircolatorio... comparsa di soffio cardiaco... malformazione cardiaca com lessa... sindrome cromosomica con prognosi molto grave... circolo periferico pessimo... ", si stava spegnendo, non vi era modo di intervenire e si era giunti ad un punto, irreversibile, di "non ritorno".
La scelta dei medici, pienamente condivisa dai genitori, è stata quindi quella di sospendere i farmaci vasoattivi pur mantenendo la ventilazione e la terapia antalgica decidendo così di interrompere cure che erano ormai ritenute inutili perché destinate solo a "posporre transitoriamente la morte".
I medici hanno, quindi, compiuto una scelta deontologicamente doverosa, rispettosa delle indicazioni etiche e conforme all'ordinamento giuridico, nel rispetto della dignita del neonato e del suo diritto a non soffrire inutilmente.
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