Le mamme No Pfas hanno posto quattro domande ai candidati alla presidenza della Regione: ecco le risposte
Salute, territorio devastato, agricoltura e allevamento, leggi per prevenire ridurre e azzerare emergenza simili a quella generata da Miteni: gli impegni di chi si presenta agli elettori per governare il Veneto

Le Mamme No Pfas hanno rivolto ai cinque candidati alla presidenza delle Regione quattro domande ed ecco le proposte ricevute da chi ha risposto.
Salute
Lo studio epidemiologico è bloccato da quasi 10 anni: manca ancora l'accordo con ISS. Alla luce della delibera regionale che approva uno studio epidemiologico limitato e non efficace, come intendete operare per renderlo esteso a tutte le aree contaminate con adeguati stanziamenti e garantendo la partecipazione attiva dei cittadini?
Candidato Fabio BUI: «Innanzitutto serve una modifica immediata della delibera, per includere ULSS 5 e ULSS 6 e coinvolgere ex-lavoratori Miteni. Adeguare poi gli stanziamenti con un fondo dedicato che copra screening gratuiti, analisi alimenti vegetali e animali e bonifiche. Avere una vera partecipazione attiva dei cittadini puntando sull'istituzione di un "Osservatorio PFAS Cittadino" che includa Mamme No PFAS, ISDE, ONG, ARPAV e ULSS. Nell'immediato ritengo urgente una pressione istituzionale presso il consiglio regionale con l'obiettivo di 10 mila firme e interrogazioni parlamentari. Altro obiettivo primario è la promozione di un tribunale ambientale che estenda la sentenza Miteni 2025 per indennizzi sanitari e monitoraggio perpetuo».
Candidato Alberto STEFANI: «Sappiamo che, per chi vive nelle zone esposte ai PFAS, la domanda numero uno è: "Che cosa è successo alla nostra salute e a quella dei nostri figli?" Per questo la Regione ha chiesto all'Istituto Superiore di Sanità di mettere insieme tutti gli studi fatti finora e di indicare con chiarezza quali altri approfondimenti servono. Non vogliamo ricominciare da zero, ma fare un passo avanti: uno studio epidemiologico coordinato e condiviso. Azienda Zero sta lavorando con l'Istituto Superiore di Sanità per ampliare e aggiornare gli studi sulle aree contaminate, collegandoli al Piano di sorveglianza sanitaria già in corso. Il nostro obiettivo è avere dati chiari per proteggere meglio le persone, in particolare i bambini. E pure che i cittadini non siano solo "oggetto di studio", ma parte attiva del percorso, con informazioni accessibili e trasparenti su ciò che si sta facendo e sui risultati che via via arrivano».
Candidato Giovanni MANILDO: «La Regione Veneto ha scelto, ancora una volta, di girarsi dall'altra parte. Questo non è tollerabile. Quando si assiste a queste cose appare evidente come ci sia un'idea di noi cittadini, della nostra salute, dell'ambiente, totalmente relativa. Noi, lo abbiamo dichiarato sin dai primi giorni di campagna elettorale, istituiremo un assessorato dedicato alla partecipazione per costruire, insieme a tutte le associazioni, i cittadini, le categorie dei veri percorsi trasparenti di confronto. Non basta convocare le parti a cose fatte magari solo per scattare una foto da mettere sui social. È indispensabile costruire insieme i percorsi e le soluzioni anche le più difficili. Nel caso specifico dovremmo avviare subito un monitoraggio indipendente accompagnato da un comitato scientifico del quale anche il comitato dovrà assolutamente far parte».
Legge
Quali strumenti legislativi promuovereste per prevenire, ridurre e poi azzerare l'esposizione dei territori e dei cittadini veneti agli inquinanti bioaccumulabili ed interferenti endocrini?
BUI: «Occorre una proposta realistica, basata su modelli efficaci (es. ban PFAS in Danimarca e Vermont, USA). Innanzitutto una fase di prevenzione per bloccare nuove fonti di contaminazione. In questa fase si deve arrivare al divieto assoluto di produzione e uso di PFAS non essenziali e inoltre ad un piano di monitoraggio obbligatorio e pubblico. Poi una seconda fase in cui si va verso la depurazione e la bonifica con filtri a carbone attivo e osmosi inversa obbligatori e la bonifica dei siti contaminati con responsabilità estesa. L'obiettivo è un agricoltura Pfas Free con il divieto di irrigazione con acque contaminate e incentivi (PAC UE) per conversione biologica, con etichettatura obbligatoria "PFAS-zero" su prodotti veneti. Infine una terza fase che abbia come target il "Zero PFAS" al 2030. Anche in questo caso ripetiamo come sia necessario istituire un tribunale speciale per reati PFAS e investire in ricerca e innovazione per alternative non fluorurate».
STEFANI: «La salute viene prima di tutto. Quando è emerso il problema PFAS, non esistevano limiti nazionali; la Regione Veneto ha chiesto allo Stato di fissarli e, nel frattempo, ha scelto criteri molto più severi per l'acqua potabile. Oggi applichiamo già i nuovi limiti nazionali prima che diventino obbligatori per legge, perché non vogliamo aspettare il 2026 per proteggere le persone. Sappiamo però che la Regione, da sola, non può fare tutte le leggi ambientali: la Costituzione dà questa competenza allo Stato. Per questo continueremo a fare due cose: usare tutti gli strumenti amministrativi regionali per imporre limiti stretti negli impianti e negli scarichi e fare pressione su Governo e Parlamento perché approvino norme nazionali più rigide e, soprattutto, perché si arrivi al bando totale dei PFAS nella produzione industriale. L'obiettivo è quello di ridurre sempre di più l'esposizione e impedire che situazioni come questa si ripetano».
MANILDO: «Le leggi ci sono. Vanno fatte rispettare. Servono i giusti controlli e, anche in questo caso, è indispensabile lavorare insieme perché ci sia un percorso condiviso. Io credo che la politica debba accompagnare i processi perché la consapevolezza deve essere di tutti.»
Territorio devastato
Quali obiettivi si pone il vostro gruppo riguardo alla bonifica del sito Miteni che ancor'oggi continua ad inquinare la seconda falda più grande d'Europa? Quali azioni concrete intendete adottare per la salvaguardia del territorio veneto esposto ai PFAS?

BUI: «Si devono azzerare le emissioni entro il 2027 e arrivare alla bonifica completa del suolo e falda al 2030, riqualificare i fiumi e mettere in atto un monitoraggio perpetuo. Operativamente occorre accelerare la bonifica del sito, con un piano esecutivo entro dicembre 2025. Le aziende responsabili (Mitsubishi, ICIG, Eni Rewind, Marzotto) devono presentare il progetto definitivo in Conferenza dei Servizi, approvato dal "documento di analisi del rischio" con sanzioni per eventuali ritardi. Occorre un fondo dedicato: 200 milioni dal PNRR e tasse sulle importazioni PFAS, gestito da un'Autorità PFAS Veneto con ARPAV e Mamme No PFAS. Bisogna proteggere poi acque e suoli con filtri universali, divieti agricoli e barriere anti-diffusione.Fondamentale è una tutela sanitaria e partecipativa, con screening esteso e un tribunale ambientale».
STEFANI: «Il sito ex Miteni è, per noi, un'area prioritaria. È qui che è nata una parte importante del problema, ed è da qui che deve partire una risposta forte e definitiva. Sono già stati approvati i passaggi tecnici necessari: il piano per analizzare i terreni, il progetto per mettere in sicurezza la falda e l'analisi del rischio. Il passo successivo sarà il progetto di bonifica vero e proprio, che dovrà essere presentato e approvato dagli enti competenti. La Regione si impegna ad accompagnare e sostenere questo percorso, perché la bonifica non sia solo annunciata ma effettivamente realizzata. Vogliamo fermare l'inquinamento alla fonte e restituire al territorio un'area oggi ferita. Quanto alle azioni per la salvaguardia del territorio: la Regione si è adoperata per proteggere l'acqua che arriva nelle case. Tutti gli acquedotti interessati sono stati dotati di filtri specifici e l'acqua erogata oggi rispetta limiti molto severi. Sono state date indicazioni ai Comuni per controllare anche i pozzi privati e, dove possibile, si è estesa la rete idrica pubblica alle zone più esposte. Ogni volta che vengono rilevati PFAS, scattano controlli e interventi per mettere in sicurezza l'acqua. Questo lavoro non è finito: noi continueremo a monitorare, mappare i siti a rischio e programmare interventi di bonifica, perché l'obiettivo è ridurre sempre di più la presenza di PFAS nell'ambiente. La nostra priorità è fare in modo che le famiglie siano tranquille e lo faremo con una comunicazione trasparente basandoci su dati, controlli e scelte rigorose».
MANILDO: «Io ho un sogno: rendere l'area Miteni un grande parco naturale, un simbolo di rinascita dopo decenni di dolore. Da presidente questo è un tema che vorrei portare in Europa e a Roma perché credo che sia un'opportunità di crescita culturale per tutti, non solo per il Veneto. Insieme possiamo scegliere di avviare immediatamente una azione profonda di bonifica che ci aiuti a rendere quell'area un parco urbano, un luogo di educazione, racconto di quello che è stato e per dimostrare tutti insieme cosa si può cambiare. Ovviamente la nostra idea sarebbe poi quella costruire, insieme ai cittadini, alle università, alle scuole e alle associazioni, un comitato di gestione che serva da strumento di educazione e promozione non solo all'ambiente ma anche alla legalità».
Agricoltura e allevamento
Cosa prevede il vostro programma per supportare le aziende agricole che operano nelle aree inquinate da Pfas?
BUI:«Bisogna spingere per azioni concrete e brevi per sostenere le aziende agricole venete colpite da PFAS che affrontano divieti di irrigazione, contaminazione di suoli e di prodotti e perdite economiche fino al 50% del fatturato. Necessario l'accesso prioritario a fondi PNRR/UE (PAC 2023-2027) con contributi fino a 100.000 €/ettaro per conversione bio o diversificazione (es. colture non irrigue). Esenzioni fiscali IRAP/IVA per 5 anni. Programmi regionali gratuiti di fitodepurazione, finanziati dal Fondo PFAS Veneto. Etichettatura obbligatoria con analisi ARPAV gratuite. Fornitura gratuita di acqua potabile e acquedotto dedicato per irrigazione, con pompe e serbatoi installati da Viacqua. Infine lavorare sulla formazione».
STEFANI: «Cosa prevede il vostro programma per supportare le aziende agricole che operano nelle aree inquinate da Pfas? Capisco bene la preoccupazione delle mamme: "Quello che mangiamo è sicuro?" Per questo la Regione ha coinvolto le aziende sanitarie e gli enti di controllo per verificare l'acqua usata nelle stalle e nei campi. Alle aziende zootecniche è stato chiesto di controllare l'acqua dei pozzi: se i valori superano i limiti, vengono proposte soluzioni concrete, come l'installazione di filtri, la perforazione di nuovi pozzi o l'allaccio all'acquedotto. La Regione ha chiesto ad ARPAV di fare gratuitamente i campionamenti dell'acqua nei pozzi agricoli e domestici dell'area più colpita, proprio per avere una fotografia più completa della situazione. Per ridurre l'uso di acqua potenzialmente contaminata, sono stati finanziati grandi progetti per portare acqua pulita agli agricoltori tramite sistemi irrigui collettivi. Questo significa meno dipendenza dai pozzi singoli e maggiore controllo sulla qualità dell'acqua usata nei campi. Infine, è in fase di conclusione il "piano alimenti", coordinato con l'Istituto Superiore di Sanità: sulla base dei risultati verranno decise altre misure di controllo e tutela, sempre con un obiettivo preciso: proteggere la salute di chi consuma i prodotti del nostro territorio, a partire dai bambini».
MANILDO: «L'agricoltura sta soffrendo. I dazi, in questo senso mettono un macigno pesante sulle nostre imprese. In tutto questo il problema di produzioni agricole e allevamenti in aree inquinate non è risolvibile in tempi rapidi. Servono bonifiche profonde proprio per questo bisogna mettere a disposizione di queste realtà Veneto Agricoltura perché le accompagni al trasferimento con indennizzi adeguati perché neppure una azienda. Poi quei terreni, una volta bonificati, possono diventare tratti di bosco di pianura in un'idea di rinascita ambientale».
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