L’icona bizantina fra tesori e ricami

Le Visitandine aprono la loro oasi sconosciuta alla città: un’occasione unica
Un’oasi semisconosciuta di spiritualità, a pochi metri dalla trafficatissima Strada Ovest e dalla pizzeria da Pino. Uno scrigno di tesori inestimabili - non tutti visibili - sconosciuti a trevigiani e turisti con rare eccezioni. Ma in questi giorni il monastero di clausura della Visitazione - meglio noto come le Visitandine - apre battenti e sale, in concomitanza con una mostra di presepi (pomeriggi, o la domenica dopo le 10). L’occasione per ammirare la millenaria icona bizantina della Beata Vergine della Cintura, tornata «a casa» dopo due mesi di trasferta per mostra al museo diocesano di Sant’Apollonia a Venezia. E il cuore di San Francesco di Sales, protettore di scrittori e giornalisti.


E pensare che il monastero di San Pelajo appartiene in pieno alla storia di città e Diocesi. Costruito nel 1913, ospita 23 monache Visitandine dell’ordine fondato nel 1610 da San Francesco di Sales e da Santa Giovanna Francesca de Chantal, ad Annecy (Francia). Vicissitudini storiche e Rivoluzione francese hanno portato le suore dalla Francia in Veneto, infine a Treviso, nella loro clausura. Oggi sono un riferimento per il quartiere: pur automantenedosi (negli anni Cinquanta le allora 100 suore allevavano animali e coltivavano la terra con un trattore), hanno aiutato gli abitanti di San Pelajo stremati dalla Seconda guerra mondiale: pane sempre, a chi lo chiedeva. Ma poi il monastero è caduto nel dimenticatoio, con la crisi delle vocazioni.


Il 2010 è cominciato con questa apertura al pubblico «per un incontro di spiritualità con la popolazione» - dicono le suore. All’interno il reliquiario con il cuore di S. Francesco di Sales, fondatore dell’ordine (è nella chiesa messa in sicurezza), ma soprattutto l’icona bizantina della Beata Vergine della Cintura, la cui storia è controversa.


L’opera, un altorilievo di legno di platano dipinto a tempera, è reduce dalla grande mostra allestita nel museo diocesano di Sant’Apollonia a Venezia: a dicembre è tornata a Treviso. La scultura, nei cartigli «Maria Madre di Dio» rappresenta ad oggi una delle più importanti e sconosciute immagini della Madonna che si conoscano. Alcuni studiosi la attribuiscono a un artista del IX secolo, altri opera del XIII. Sgarbi, che ebbe occasione di ammirarla in un suo blitz trevigiano di tre lustri fa, ne parlò come di un capolavoro assoluto della storia dell’arte.


In una stanza del monastero è allestito un percorso a pannelli sul restauro dell’opera; esposto anche il contenitore in cui la scultura ha viaggiato da Bisanzio a Venezia e infine a Treviso. Nella moderna cappella, la sorgente della vita: è un’affascinante risorgiva. Fra memoria e tradizione, invece, i 30 presepi costruiti dalle suore negli anni. Incredibili i ricami: alcuni sembrano dipinti, solo avvicinandosi affiora la trama. Ma le opportunità non si fermano qui: chi vuole vivere un ritiro può contare sulla foresteria con cucina. E c’è una sala da 70 posti per gruppi e giovani: ma nessuno lo sa. Treviso sembra ignorare il «tesoro» di San Pelajo.

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