La colonna del Menarè e il mistero del tesoro nazista

L’oro dei nazisti alla base della fortuna di alcune tra le maggiori fabbriche del Vittoriese e del Coneglianese. Si torna a parlare del mito della Colonna d’oro del Menarè bombardata dagli Alleati nell’aprile 1945. Il mistero è stato svelato dallo storico Pier Paolo Brescacin. Secondo lo studioso vittoriese, nei 700 automezzi blindati era trasportato un capitale che oggi varrebbe 13 milioni di euro.
CULTLURA: Per Paolo Brescacin storico e direttore dell'Istituto per la Resistenza autore del libro "la colonna d'oro del Menarè"
CULTLURA: Per Paolo Brescacin storico e direttore dell'Istituto per la Resistenza autore del libro "la colonna d'oro del Menarè"
Quella che viene usualmente denominata la Colonna tedesca del Menarè era un segmento di una più grande colonna motorizzata proveniente da Cittadella e diretta a nord.


Era costituita da migliaia di automezzi tra autocarri, camion, blindati con più di diecimila uomini appartenenti a vari contingenti della Werhmacht, Luftwaffe, Waffens SS, Ordnung Polizei (Polizia d’Ordine) e paracadutisti.

 

Quando la colonna tedesca si avventurò la mattina del 29 aprile 1945 lungo il Menarè, su quel tratto della statale 51 Alemagna che collega il Coneglianese a Vittorio, trovò la strada bloccata dai platani tagliati dai partigiani del gruppo brigate «Vittorio Veneto».


Ma dopo aver rimosso gli alberi, intervennero i soldati a sbarrare la strada e ad aprire il fuoco. A nulla servirono i negoziati. I tedeschi stavano per riprendere l’offensiva quando arrivò l’aviazione alleata che si avventò sulla Colonna, costringendola alla resa.


Fu un bombardamento che durò ininterrottamente per una decina di ore, distruggendo tutti i veicoli. Alla fine gli Alleati ebbero ragioni dei nemici.


Dispersi a gruppi nelle campagne circostanti, provati psicologicamente dal bombardamento, i tedeschi capitolarono alle 10 del 30 aprile 1945. Finiva così la guerra anche nel Vittoriose.


Il bombardamento distrusse la Colonna, che trasportava ogni ben di Dio: derrate alimentari, generi di conforto, vestiario, materiali di cancelleria, opere d’arte, ma soprattutto cassette di valuta.

 

Brescacin parla di un numero imprecisato di casse blindate metalliche color oliva, colme di rotoli di valuta da cinquecento e mille lire di allora, nonché di valori come gioielli e lingotti d’oro.

 

Un vero e proprio «tesoretto» da 40 milioni di lire di allora, circa 13 milioni di euro di oggi, che dovette fare gola a molti e che nei giorni successivi accese un’altra battaglia, non più aerea, ma il cui esito cambiò forse il destino e la vita a qualcuno.


Le testimonianze raccolte tra i protagonisti di allora e riportate nel libro parlano di vere e proprie contese per mettere le mani sul bottino, di banconote pesate e divise con la stadera per non fare parzialità, di tacito versamento di parte del bottino a testimoni occasionali affinché la voce non si spargesse.


In alcuni casi intervenne anche la minaccia delle armi per imporre il silenzio. Beneficiari di questi proventi del Menarè furono principalmente le persone del luogo.


La gente da queste parti ha soprannominato i più fortunati i «Conti Colonna», che nel libro sono citati con gli pseudonimi di «Innominato» e «Miracolato». Furono proprio i denari trafugati dal tesoro dei nazisti a consentire a pochi fortunati di diventare dal nulla affermati imprenditori del Vittoriese ma anche del Coneglianese negli anni del dopoguerra.

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