Grave la donna che ha ucciso una famiglia, il nonno di una delle vittime: «Le istituzioni due volte colpevoli: hanno fallito»

Lo sfogo di Luigi Antoniello, padre di Marco e nonno del piccolo Mattia: «Umanamente spero si riprenda, ma quella donna andava fermata. Dalla tragedia io e mia moglie siamo degli zombie»

Marta Artico
Le vittime del 6 luglio 2023: da sinistra Mattia Antoniello, il papà Marco e Maria Grazia Zuin
Le vittime del 6 luglio 2023: da sinistra Mattia Antoniello, il papà Marco e Maria Grazia Zuin

«Che sia un atto volontario o meno non cambia. I miei cari li ho persi per l’incuria delle istituzioni, che non dovevano permettere a questa donna di far loro del male. Adesso la storia si ripete, perché sempre le stesse istituzioni non hanno vigilato a dovere su di lei e noi torniamo a soffrire e rivivere quel momento. Ecco perché sono due volte colpevoli».

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Luigi Antoniello, oggi 78 anni, padre di Marco e nonno del piccolo Mattia, attendeva solo passassero le feste.

«Io e mia moglie siamo due involucri vuoti, due zombie che si alzano la mattina. Ma dentro siamo morti. Ci sono morti che con il tempo si metabolizzano, ho perso sorelle, genitori, amici. Ma queste no. Perderne tre tutti insieme, così, ti svuota. E il dolore non passa, si acuisce ogni giorno di più anziché sbiadire. Viviamo solo per chi rimane, per gli altri, per nostro figlio e per i nipoti, per non aggiungere loro altra sofferenza al dolore patito. Durante le feste spero solo di saltare questi venti giorni e arrivare all’anno nuovo. Non c’è più Natale, per noi, non c’è Pasqua, non c’è Capodanno».

Si scusa, per lo sfogo, la voce si chiude in gola.

Cosa ha provato quando ha saputo dell’incidente?

«Sono ritornato indietro a quel giorno di luglio, rivivi tutto, rivedi la stessa immagine. Il contesto di quanto avvenuto, per noi non cambia. Ma aggiunge amarezza perché ancora una volta le istituzioni preposte a prevenire questi drammi e preservare le vita umana, non lo hanno fatto. La struttura che doveva sorvegliarla non lo ha fatto e questo ci dice che siamo solo numeri. Niente più».

Un dolore doppio...

«Mio figlio e mio nipote li ho persi per incuria, perché se chi doveva avesse messo dei freni a questa donna prima, non sarebbe accaduto. Oggi il copione si ripete. La colpa è delle leggi, che le hanno dato ogni attenuante possibile e non l’hanno trattenuta in carcere. Le istituzioni hanno sulla coscienza quello che è accaduto allora ai miei cari, e quanto successo adesso. Il fatto che sia accaduto di nuovo, questo lascia l’amaro in bocca. Penso a quel povero uomo, che se l’è trovata di fronte e che ha la mia età, allo choc. Il nostro è un ergastolo a vita, siamo sprofondati in un abisso, ma non c’è neppure il conforto di sapere che quanto accaduto non si ripeterà più. La perdita delle tre vite vale meno di zero, che sia stato un gesto volontario o meno, non doveva comunque essere messa in quelle condizioni. Le hanno dato meno di cinque anni, poi la possibilità di vivere nella quasi normalità, ma non c’è stata alcuna sorveglianza».

Non c’è astio per Angelika nelle sue parole. Come fa?

«Mi dispiaccio per lei, perché è un essere umano, specialmente se era malata. Provo invece rabbia verso le istituzioni che non fanno nulla, a tutti i livelli. Mi sento vuoto, impotente, una nullità di fronte a tutto ciò. Se la perdita di mio nipote, di mio figlio e consuocera fosse valsa a qualche cosa avrei avuto una consolazione, seppur magra, invece siamo dei numeri. Non auguro a nessuno di vivere come noi. La nostra delusione è legata al fatto che questa persona ha ammazzato tre vite, un gesto volontario, perché non era capace di intendere e di volere e non riusciva a dominare la sua rabbia. Non imputiamo nulla ai giudici. Ma la legge italiana premia chi commette un crimine e condanna all’ergastolo a vita chi lo subisce, altrimenti lei sarebbe rimasta in carcere e forse sarebbe stata seguita, chissà. E se invece avesse ucciso ancora? Questo non lo accetto».

Cosa accadrà ora?

«A lei auguro che possa riprendersi, umanamente, non porto odio né rancore, è un essere umano. Speriamo che almeno adesso la famiglia le stia vicino e non la abbandoni come l’ha abbandonata dopo quel fatto. Troppe cose non tornano, una famiglia molto assente, anche verso di noi, mai una parola di pentimento o di scuse. Forse il solo sollievo è che almeno ora quei due genitori percepiscano la sofferenza come la abbiamo subita e patita noi. Forse vedere la figlia in quelle condizioni farà nascere in loro un po’ di senso di colpa per non avere fatto tutto il possibile per lei. Dobbiamo essere umani, altrimenti che società sarebbe? Questo non è il mio mondo».

Va in cimitero?

«Ci vado ogni giorno, è il mio primo pensiero quando mi sveglio. Non ho altri impegni, mi prendo cura di loro, mi da sollievo stare con loro. Mia moglie non ci riesce. La nostra vita è questa e la viviamo per non aggiungere altro dolore a chi amiamo». —

 

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