Giovani in fuga dal Veneto: il lavoro precario e la formazione spingono all’esodo
Il 36% dei giovani veneti vuole lasciare la regione dopo la scuola superiore, attratto da università e lavoro all’estero. La Cgil evidenzia precariato, stipendi bassi e mancanza di opportunità come fattori chiave dell’esodo giovanile

“Bisognerebbe smettere di considerare il Veneto come sola meta turistica e cominciare a renderlo un luogo adatto alle prospettiva di studio e di lavoro dei giovani”: questo l’auspicio di Tiziana Basso, segretaria generale della Cigl Veneto, davanti ai dati che descrivono la critica situazione migratoria dei giovani della nostra Regione, esposti mercoledì 10 dicembre nella sede di Mestre. È effettivamente un bilancio sempre più infelice, quello emerso dall’analisi dei questionari somministrati a più di quattromila giovani studenti e studentesse delle scuole superiori che hanno partecipato al JobOrienta, lo scorso anno, a Verona.
Lo studio
Lo studio, che ha riguardato giovani nati tra il 2001 e il 2011 e che frequentano la quinta e la quarta superiore, ne ha esaminato i desideri futuri: per un totale di 4.479 ragazzi (di cui più della metà risiede in Veneto), il 36 per cento ha già deciso di andarsene dopo l’ultimo anno di scuola superiore, il 37 per cento prende in considerazione questa eventualità e solo il 27 per cento sa già di non volersi spostare. Questo, prediligendo Spagna, Stati Uniti e Australia, e con numeri anche maggiori per le ragazze (segno quasi indiscutibile di un gender gap che continua ad essere p
otente).
Un dato grezzo che ha bisogno della sua contestualizzazione per poter essere compreso a pieno. A parte i desideri futuri, infatti, è anche la provenienza geografica e la composizione familiare ad essere un criterio determinante nella scelta dei giovani. Di quei quattromila ragazzi (di cui il 46 per cento frequenta un istituto tecnico, il trentasei un liceo e il restante un istituto professionale), il 79 per cento del totale sono completamente italiani, nati in Italia, con entrambi i genitori italiani.
Poco più del 50 per cento invece sono stati considerati con un “background migratorio”, cioè nati all’estero oppure con almeno un genitore non nato nel nostro Paese. Solo per questi ultimi la percentuale specifica di uscita dall’Italia è ancora più alta, con un 44 per cento che è più propenso a muoversi, alcuni dei quali anche per tornare più tardi nel Paese d’origine, altri anche solo per abitudine al movimento. Dei ragazzi con il cosiddetto “background migratorio” infatti solo il 21 per cento afferma con certezza di voler rimanere in Italia.
Esperienze lavorative negative
Stranieri o no, non è questo il solo criterio: a determinare le scelte è anche l’esperienza lavorativa. Chi tra loro ha dichiarato di aver avuto una precedente esperienza lavorativa (da cui è escluso il Pcto, cioè il percorso per le competenze trasversali e l'orientamento, e lo stage), per un totale di più di duemila giovani, è anche ben disposto nella scelta di andarsene.
Tra chi ha già indossato i panni di un lavoratore la percentuale del “sì” è alta, per un 41 per cento. Solo il 24 per cento di chi ha già lavorato decide di non uscire dall’Italia. Tra le motivazioni, invece, quella che fra tutte spinge di più i ragazzi ad uscire dal Paese è la qualità dell’offerta formativa e universitaria, con il 47 per cento. I candidati hanno come priorità la costruzione di un sapere (tanto pratico quanto teorico) che sia al massimo delle sue potenzialità, lasciando molto da parte le questioni personali.
Non solo non si spostano per raggiungere amici o compagni di vita (solo il 15 per cento lascia l’Italia per amore o amicizia) ma sono anche ben contenti di allontanarsi dalla casa familiare, lasciando tutte le comodità del caso, per intraprendere la strada che li conduce alla migliore delle formazioni possibili. Subito sotto c'è l'attrazione per la cultura e la lingua di un paese, con il 40 per cento di possibilità. Più in basso ma con una percentuale comunque alta, del trentatré per cento, la possibilità di scelta tra le varie offerte di lavoro.
La carriera
A seguire, l’opportunità di trovare un lavoro coerente con gli studi fatti e le prospettive di carriera. Le motivazioni che li spingono ad andare via, però, sono spesso anche quelle che li portano a ritornare, eventualmente, in Italia: sempre la qualità dell’offerta formativa, la possibilità di scelta fra varie offerte di lavoro e l’equilibrio tra tempo libero e non sono le tre motivazioni fondamentali per interrompere un periodo all’estero o per non partire nemmeno. Una generazione che dai ricercatori è stata quindi definita “in movimento” e “attenta a costruire il proprio futuro in un contesto sempre più globale, consapevole tanto dei vincoli quanto delle risorse del proprio Paese”.
Popolazione lavorativa in caduta libera
Una mobilità che però deve tenere conto anche delle opportunità di lavoro e di guadagno per i giovani che decidono di rimanere in Veneto: “In Veneto, entro il 2034, calerà del 7 per cento la popolazione lavorativa” ha denunciato Silvana Fanelli, della Cigl che del Veneto. “Il problema non è che i giovani se ne vanno dalla nostra Regione per andare solo all’estero, ma che sempre di più se ne vanno per spostarsi in altre parti d’Italia, anche confinanti. I ragazzi vogliono un lavoro che consegua ai loro percorsi di studio, vogliono un lavoro che non sia precario.
Questioni che poi si sommano all’annosa questione dell’abitare. Avere una casa per molti lavoratori è complesso, per altri è addirittura proibitivo”. Non solo: “Il Veneto paga di meno rispetto alla media nazionale, con contratti stabili che contano duemila euro in meno rispetto alle medie del Paese” ha spiegato la segretaria generale, Basso.
“Solo quest’anno abbiamo gestito 80 tavoli di confronto nelle aziende. Solo quest’anno lavorare ha causato il 60 per cento in più delle morti, rispetto al 2024”.
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