Giorgio Terruzzi: vi racconto l'ultima notte di Ayrton Senna
Il giornalista e scrittore milanese sarà ospite questo venerdì 3 maggio (dalle 18.30) della Libreria Lovat di Villorba per presentare il suo libro “Suite 200” con aneddoti e leggende legate al pilota brasiliano

Trent’anni fa, alla curva del Tamburello, “Magic” salutava per sempre l’Italia e il resto del mondo. Un ricordo mai sopito, quello del grande pilota brasiliano, che rivive nelle pagine di “Suite 200. L’ultima notte di Ayrton Senna”, libro di Giorgio Terruzzi dedicato alla figura e all’umanità, non soltanto agonistica, del tre volte campione del mondo di Formula Uno.
Proprio il popolare giornalista e scrittore milanese sarà ospite questo venerdì 3 maggio pomeriggio (dalle 18.30) della Libreria Lovat di Villorba, per raccontare aneddoti e leggende legate a una delle figure più amate della storia dello sport.
Primo maggio 1994, trent’anni dopo. Cosa rimane di quel momento?
«Fu un fine settimana drammatico: non ho memoria di qualcosa di simile, prima o dopo. Un incidente grave per Barrichello, la morte di Ratzenberger durante le prove e una tensione che proseguì anche nelle gare successive. Quel giorno tentai di praticare una rimozione colossale: era come se non potessi crederci, fino a quando non mi dissero in faccia che se n’era andato ero convinto che non si sarebbe mai fatto nulla. Era il capo, Senna, il protagonista del film che esce di scena, e sembrava impossibile... Scese il silenzio improvviso in un luogo così vitale, amplificato dalla velocità in un tempio consacrato ai gesti iperbolici, rapidi. Ho una memoria fortissima di lui, era una di quelle persone che poche volte si incontrano nella vita: si aveva la sensazione di avere a che fare con qualcuno che vinceva le corse con la massima ferocia, e al contempo, in alcuni momenti appartati, raccontava di sé e stava ad ascoltare la vita che gli porgevano gli altri».
Come ricorda il vostro primo e ultimo incontro?
«Ci incontrammo per una serie di coincidenze, grazie al mio grande amico Pigio Pastonesi, che da quarant’anni ormai vive in Brasile. Era il 1984, il tempo delle prime esperienze in F1 di Senna: passai un Natale a San Paolo, e di mezzo c’era anche Ayrton. Ebbi il piacere di scoprirlo sin dall’inizio in un contesto privato: poi ho imparato il portoghese e con lui negli anni ci siamo incontrati alcune volte, sempre in Brasile, casualmente. Quella domenica mattina rimasi per tutto il tempo sulla griglia di partenza: non era il solo a essere preoccupato per la sicurezza in pista, ma aveva anche molti temi irrisolti della sua vita privata che stava cercando di far quadrare e dei quali parlo nel libro. Situazione sentimentale, la Fondazione in partenza, le ipotesi sul suo futuro professionale... Occhio a non mitizzare troppo quella foto in cui lo si vede con l’aria pensierosa e il casco appoggiato sull’auto prima del via del gran premio: non erano presagi, era la vita, con tutte le sue salite”.
“Suite 200” racconta l’uomo, prima che il campione. Come nacque il libro? La prima edizione è di dieci anni fa, ma in questa ristampa compare una nuova introduzione.
«Ci ho messo molto prima di scriverlo: è stato un caso editoriale in classifica, una sorpresa anche per me. È un testo molto intimo, che ha innescato una nuova voragine: ho ricevuto e-mail, lettere e messaggi di persone che sono state accompagnate da Senna, e in questa nuova veste del testo ho sentito di dover ricalibrare anche tutte le emozioni generate da questi ultimi dieci anni. Evidentemente il percorso umano di Senna si è risolto in quello di una figura rarissima e rimasta sospesa nell’aria, che fa capolino nella vita delle persone in questo tempo di solitudini. Senna è diverso da Maradona, per fare un paragone: a Diego si perdonava tutto, la rilevanza della sua corporeità era più splendente. Ayrton era brutalmente rigoroso con sé stesso, capace di essere autocritico fino all’autoflagellazione».
Cancelliamo quel Primo Maggio. Senna sarebbe mai arrivato in Ferrari?
«Non credo. Come tutti i piloti avrebbe voluto una macchina subito pronta per vincere, e quella Ferrari non lo era. Parlando di recente con il mio amico Pino Allievi, siamo però entrambi giunti alla conclusione e discretamente convinti che a fine carriera sarebbe stato capace di andare alla Minardi... Non dimentichiamo che quell’anno Schumacher vinse il Mondiale all’ultima gara, contro Hill, che aveva la stessa macchina di Senna. Il futuro sarebbe stato diverso, probabilmente».
La scrittura fa parte della sua vita, e non parliamo solo di automobilismo. Da dove nasce l’amore per la parola, e a cosa sta lavorando attualmente?
«Una passione nata sui banchi di scuola, da adolescente. Scrivere i libri per sé stessi è un privilegio che possono avere in pochi: io ho fatto il giornalista, e continuo ancora con gratitudine e entusiasmo. Sono convinto che una persona possa migliorare e cambiare anche a 90 anni, cercando di confrontarsi con temi e argomenti diversi, prendendosi anche le ferie per scrivere. Di recente è uscito “Ne uccide più la gola che la sciarpa” con Renato Pozzetto, e attualmente sto lavorando con Riccardo Patrese per un nuovo libro... E poi ho in ballo un progetto editoriale che riguarda il terzo tempo della vita».
Anche i podcast e la radio sono parte integrante della sua professione: come procede il dialogo con le nuove generazioni?
“Va così, direi: è una moda o una modalità duratura? Tutto ha a che fare e a che vedere con la velocità che ha travolto ogni cosa, compreso il mondo dell’informazione: questo comporta trascuratezza, rispetto alla riflessione. Si può giocare e divertirsi, ma non è tutto: tocca allenarsi per andare sotto la superficie, e mi riferisco soprattutto alla comunicazione. Ci sono cose che vanno al di là del tempo e delle modalità di espressione: penso sia importante circumnavigare sé stessi e osservare con cura ciò che sta attorno, è un bel vizio».
Come vede la F1 di oggi?
«Diversa. Non sono uno di quelli che ama dire “Ai miei tempi...”, ma sicuramente questo mondo mi piace meno: sono ragazzi iperprotetti e inaccessibili, è difficile scavare nelle persone e nelle storie. Ho vissuto un tempo che in questo senso era molto diverso: c’erano rapporti diretti e personali con i piloti, momenti di goliardia... Mi ritengo un fortunato, ho fatto il mestiere che volevo incontrando personaggi straordinari. Non dimentichiamo che oggi è cambiata anche la platea degli appassionati e c’è stata l’evoluzione della componente elettronica, ma non mi sognerei mai di dire che quelli che corrono e guidano adesso non siano dei fenomeni. Anche se le modalità di accesso alle piste e alle competizioni sono diverse emergono comunque quelli bravi... Però, sì, dai, non è più quella bella roba lì».
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