Fughe e dimissioni: Pd a rapporto da Bersani
Cacciari: «Democratici e Pdl in crisi di rappresentanza, è Verso Nord l'alternativa alla Lega»

Rosanna Filippin e Pierluigi Bersani Martedì a Roma discuteranno il caso veneto
VENEZIA.
Sul Pd veneto - scosso da crisi di consenso, dimissioni e abbandoni - pende una spada di Damocle. E' il nuovo partito nordista che ha in Massimo Cacciari il padre nobile e si candida a terzo polo: dialogante col centrosinistra e i pidiellini liberal, alternativo alla Lega.
Verso Nord, sì. Nuovo approdo del consigliere regionale Diego Bottacin («Lascio un partito che ha tradito gli elettori»), del parlamentare Maurizio Fistarol e - si vocifera - del veltroniano Andrea Causin che, nei giorni scorsi, si è polemicamente dimesso da vicesegretario. Altri potrebbero seguire il loro esempio, soprattutto nell'area "margheritina", dando corpo a quelle «ombre» nei rapporti interni evocate da Paolo Giaretta. Dove l'allusione corre all'insofferenza verso la svolta «socialista» attribuita alla leadership Bersani. Circostanza orgogliosamente negata dal segretario veneto: «Pierluigi Bersani non è l'ultimo mohicano di una tradizione vetero-stalinista ma il primo politico italiano che ha affrontato davvero la sfida delle liberalizzazioni», manda a dire Rosanna Filippin. E aggiunge: «A chi dice che il Pd è una copia dei Ds, rispondo che i nostri elettori e iscritti si considerano i protagonisti di una storia nuova più che gli eredi di una vecchia. E chi finge di non capirlo, fa torto soprattutto a loro». Tant'è. Domani l'ufficio politico del partito si riunirà per esaminare la situazione e mettere a punto una strategia di risposta; martedì, poi, è in programma un faccia a faccia romano Bersani-Filippin. «Parleremo del futuro, non del passato», assicura quest'ultima «e tanto meno discuteremo di fughe individuali. Per parte mia, sono testarda e ottimista. Non mollo di sicuro». Chi invece ha amichevolmente mollato il Pd è il filosofo Cacciari. Che rimarca la natura prevalentemente intellettuale del suo contributo a Verso Nord («Non ho responsabilità politiche né organizzative, ho aderito al manifesto e parteciperò ad alcune iniziative di questi amici») ma indica la duplice dimensione del movimento: «C'è il quadro nazionale, con la crisi evidente, politica e culturale, delle formazioni maggiori. E c'è una specificità settentrionale, col Pd incapace di interpretare un'area cruciale del Paese e il Pdl sempre più ostaggio della "copertura" leghista». La Lega pigliatutto, sì: «Per una volta, i ceti produttivi di Piemonte, Lombardia e Veneto - che insieme hanno il doppio del Pil olandese - facciano un discorso di verità e non da clienti, come nel loro costume. E si chiedano: è pensabile delegare la rappresentanza a una forza come la Lega, palesemente identitaria ed estranea alla globalizzazione e all'integrazione europea? Evidentemente no, non si può costruire sulla paura. E allora serve un'alternativa». Che Giuseppe Bortolussi, il segretario della Cgia, tra i promotori di Verso Nord, definisce così: «Un nuovo polo laico, pragmatico e profondamente europeo. Il sistema bipolare si sta sfarinando, nascono gruppi e partiti. Noi ci candidiamo a partito nordista, sì, ma non siamo contro il Sud. Anzi, il riferimento al Mezzogiorno non deve più fornire alibi ai ritardi del settentrione. Dobbiamo misurare i nostri standard con le punte avanzate del continente, non con la Calabria». Sullo sfondo - ma neanche tanto - un possibile ruolo di «mandatario» del movimento ad agire, sopra il Po, in sinergia con il cartello in gestazione Casini-Rutelli-Tabacci-Fini.
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