Elezioni regionali in Veneto, la Lega detta le regole: «Manifesti dei candidati solo nei propri Comuni»

Una circolare interna a firma dell’organizzatore Paolin vieta anche la foto nei volantini. «Ammessi quelli del candidato presidente e il simbolo della lista». Deroga per Zaia

Filippo Tosatto
Il candidato del centrodestra alle elezioni regionali in Veneto, Alberto Stefani
Il candidato del centrodestra alle elezioni regionali in Veneto, Alberto Stefani

Un fulmine a ciel padano. “I manifesti personali dei candidati sono consentiti solo nel rispettivo Comune di residenza”. E oltre l’ombra del campanile? “Negli altri Comuni non devono essere affissi manifesti personali ma esclusivamente quelli del candidato presidente Alberto Stefani e il manifesto “Vota” con il simbolo grande della nostra lista. E volantini solo con il simbolo”.

L’altolà reca la firma (ma non propriamente la paternità… ) di Giuseppe Paolin, il veterano di Possagno a capo dell’organizzazione veneta della Lega: una circolare interna destinata a candidati e segretari di sezione, la sua, che suscita stupore e discussioni nel partito.

«Un breve promemoria per uniformare la comunicazione sui tabelloni elettorali comunali», minimizza il dirigente nel preambolo, salvo chiarire che non si tratta di un consiglio bonario: «Invitiamo tutti ad attenersi alle indicazioni per garantire ordine e rispetto reciproco, evitando inutili sprechi e sovrapposizioni», il monito che nel lessico abituale del Carroccio adombra l’adozione di sanzioni disciplinari a carico dei trasgressori.

E anche niente bandiere di San Marco, solo bandiere e manifesti Lega.

La disparità introdotta, tuttavia, è evidente perché diverso è il “bacino fotografico” di partenza riconosciuto agli sfidanti.

Evidente, al riguardo, il gap tra chi abita in città quali Padova (Eleonora Mosco) o Treviso (Riccardo Barbisan) e dispongono così di un’ampia platea, e chi risiede a Isola Rizza (Elisa De Berti) o Badia Calavena (Stefano Valdegamberi), borghi popolati da poche migliaia di abitanti.

Resta il malumore: «In passato, nelle elezioni con preferenze individuali, la Lega vietava i manifesti personali per evitare le rincorse tra candidati della stessa lista, frequenti in Fratelli e Forza Italia. Stavolta, invece, ne consentiamo l’affissione introducendo una semplice regola», argomenta Paolin.

E la difformità contestata? «È più teorica che reale. A meno che il candidato non si chiami Richard Gere, le foto riflettono più l’orgoglio personale che il vantaggio effettivo. I tabelloni sono sempre più ridotti, spesso le amministrazioni li piazzano in luoghi improbabili, la gente passa, guarda distratta e dimentica.

Le preferenze, parlo per esperienza, si raccolgono con la presenza sul territorio, il porta a porta, i legami con le associazioni. Quanto al nome, ci sono i santini, cartacei e i social, senza limiti spaziali”.

È tutto? Non proprio. Fonti leghiste assicurano che la decisione sarebbe stata ispirata da Stefani, con l’avallo del commissario elettorale Nicola Finco. L’obiettivo? «Scongiurare il “corpo a corpo” nei distretti più affollati e competitivi», la versione ufficiale che allude soprattutto all’Alta Padovana, alla Marca, alla provincia di Vicenza.

«Favorire la corsa dei salviniani Mosco e Barbisan», il sospetto coltivato dai rivali. Il dubbio: i candidati rispetteranno i confini comunali di riferimento? «Certo che sì, purché il vincolo valga per tutti, incluso il capolista Luca Zaia», replica con la consueta schiettezza Roberto Marcato. Il governatore uscente dimora a San Vendemiano (non esattamente una metropoli) e medita la zampata decisiva nelle due settimane che precedono il voto. Al suo valore aggiunto, riflesso di una popolarità tuttora elevatissima, la Lega affida gran parte delle chance di successo nel duello all’ultima scheda con la destra tricolore: la deroga è cosa fatta.

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