E' veneto il 22 per cento delle aziende italiane che operano in Romania

Uno dei palazzi che popolano la periferia industriale di Timisoara sede del business moda
TREVISO.
Da Timisoara ai Balcani. Analisi del mondo imprenditoriale veneto in Romania: il coordinamento delle azioni è la chiave vincente per le aziende in tempo di crisi. Luca Serena, 48 anni trevigiano, imprenditore di quarta generazione, è arrivato per la prima volta in Romania nel 1999 per creare un punto di riferimento e di assistenza per gli imprenditori di Unindustria Treviso. Ora è presidente di Unindustria Romania e neo vicepresidente vicario di Confindustria Balcani, oltre che presidente di Euroholding group (gruppo Peruzzo) che raggruppa aziende in vari settori. Confindustria Balcani è costituita dalle associazioni imprenditoriali di Bulgaria, Romania, Serbia, Macedonia, Bosnia Herzegovina, Albania, Croazia.
«Le associazioni di imprenditori intendono coordinare le proprie azioni nell'area balcanica, ma anche essere un punto di riferimento per le aziende italiane del sistema Confindustria interessate a quell'area», afferma Serena. «L'area balcanica ha un ruolo molto importante, spesso sottovalutato. Basti pensare che l'Italia nel 2009 qui ha effettuato esportazioni per oltre 10 miliardi di euro, pari a quanto la stessa Italia esporta in Cina, Brasile ed India messi assieme. Il modello di impresa italiano è un modello di Pmi, quindi ha la necessità di trovare un supporto per le proprie strategie di internazionalizzazione e politiche di import/export». Timisoara per i veneti è stata la prima città di riferimento, sia per vicinanza geografica, sia per il fatto che in città si è creata una sorta di distretto del sistema moda. Timisoara è ancor oggi un'area con una forte realtà veneta, anche se nel tempo la presenza si è diluita, da un lato per l'arrivo di aziende provenienti da altre regioni italiane, dall'altro per l'avvio di attività venete in altre zone della Romania. Nel 2005 la rilevazione del Centro estero delle Camere di Commercio del Veneto citava una presenza di imprese venete pari a 2.578 unità, ovvero il 22% del totale delle 11.656 imprese italiane in Romania. «Oggi - afferma Serena - la presenza veneta rimane importante, anche se non più così prevalente rispetto ad altre aree dell'Italia operanti in Romania. I vantaggi sono molti. Innanzitutto la Romania è il paese più orientale d'Europa, quindi costituisce una buona piattaforma produttivo-logistica per altri paesi. E' il secondo paese dell'Europa dell'Est dopo la Polonia per numero di abitanti, dunque offre un potenziale mercato di assorbimento. Come nuovo stato membro della Ue, beneficia di importanti somme nei fondi strutturali per lo sviluppo del paese e per gli investimenti anche privati. Durante la crisi il valore medio degli stipendi è sceso e i costi sono tornati competitivi anche per le lavorazioni ad alta intensità di manodopera e c'è una buona preparazione di base degli addetti ai settori del legno, metalmeccanico, tessile, abbigliamento, calzaturiero». Serena illustra poi gli aspetti negativi: «Gli svantaggi sono rappresentati da un insufficiente sistema delle infrastrutture (in tutta la Romania oggi ci sono solo 300 km di autostrade funzionanti), da una endemica carenza di programmazione pluriennale in quasi tutti i settori dell'apparato statale, dalla difficoltà di gestire e utilizzare i fondi europe». Considerando l'attuale panorama mondiale l'imprenditore veneto dà un'interpretazione degli effetti della crisi che riguarda il Nordest. «La crisi fa emergere anche i punti deboli del sistema nordestino. Il Nordest è un territorio a micro imprenditorialità diffusa, scarsamente capitalizzato, non sufficientemente strutturato per affrontare la ricerca e il presidio di mercati che possono attrarre produzioni oggi non assorbite dal Nordest e dall'Italia in generale, oppure richieste in quantità decisamente inferiori rispetto al recente passato. La crisi in Romania comunque è molto più forte e sentita che in Italia. Il sistema economico romeno, essendo giovane, è molto debole. La crisi ha fatto chiudere oltre diecimila aziende romene in questi mesi del 2010, privando quindi anche le imprese italiane, ma non solo, di un sistema di aziende collegate a filiera e della subfornitura». Per l'imprenditore trevigiano è difficile immaginare cosa accadrà in futuro. «E' sempre un esercizio arduo, specialmente in questo periodo di forte discontinuità. Credo che la Romania rimarrà, almeno per il prossimo decennio, un paese con buone potenzialità di sviluppo. Non va dimenticato che prima della crisi mondiale la Romania aveva una crescita del Pil di circa il 5% annuo, con una punta di oltre il 7% nel 2008».
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