L’ex detenuto: «Camere dell’amore, una conquista. Chi è in carcere è comunque una persona»

Da lunedì 6 ottobre la sperimentazione al carcere Due Palazzi di Padova: i detenuti, con l’ok del magistrato di sorveglianza, potranno incontrare la compagna in totale privacy. La testimonianza di Elton Kalica, in cella per 14 anni: «Intimità fondamentale. Avere bisogno di carezze è umano»

Marta Randon
Il carcere Due Palazzi a Padova
Il carcere Due Palazzi a Padova

«Si facevano i turni, uno rimaneva in cella, il resto scendeva per consentire al compagno di rimanere da solo con il giornalino pornografico, si creavano dinamiche infantili. Ma non c’era alternativa». Per Elton Kalica, 49 anni, ricercatore universitario di origini albanesi che ha trascorso 14 anni al Due Palazzi, la «stanza dell’affettività è la più grande conquista che un detenuto possa ottenere».

Da lunedì 6 ottobre, per quattro mesi, il carcere di Padova dà ai detenuti che hanno il permesso del magistrato la possibilità di incontrare in totale privacy la moglie, convivente o fidanzata. L’ex detenuto è fuori dal 2011; oltre a lavorare nel dipartimento di Sociologia è redattore della rivista Ristretti Orizzonti. Per anni, quand’era in carcere, si è battuto per «il diritto alla sessualità e affettività».

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«Se ne parla da tanto tempo. Ricordo che al Due Palazzi fu organizzato un incontro con alcuni deputati per parlare della proposta di legge di Marco Boato, firmata da una trentina di onorevoli. Già allora l’opposizione dei sindacati della polizia penitenziaria fu feroce. Non ne volevano sapere. Credo sia soprattutto una questione politica, dei tanti sindacati solo uno è della Cgil, il resto è di destra: un recluso per loro deve vivere di cella, aria e tre pasti. È anche una questione culturale: in un Paese cattolico il rapporto sessuale è finalizzato alla procreazione, non è un’esigenza».

Elton all’epoca aveva 20 anni. «Avevo una fidanzata – racconta – se avessi potuto avere incontri intimi la storia forse sarebbe andata diversamente. La stanza dell’affettività aiuta soprattutto i detenuti sposati o conviventi che hanno una pena lunga. Coltivare un rapporto con la propria compagna, farlo sopravvivere, significa anche potersi vedere in intimità, in totale privacy. Un detenuto è una persona è il bisogno di contatto fisico, di carezze è umano».

La stanza dell’amore del Due Palazzi si trova vicino agli spazi dedicati agli incontri con i familiari: «Durante i normali colloqui è vietato baciarsi – spiega Elton –. Se viene a trovarti tua moglie è normale abbracciarsi e baciarsi, ma non si può. La polizia penitenziaria, che controlla da dietro un muro di vetro, bussa col pugno, ordinandoti di smettere. Alcuni sono severi, altri più indulgenti. Al terzo richiamo, però, si perde il diritto di 45 giorni di liberazione anticipata per comportamenti non idonei».

Secondo Elton «i colloqui tradizionali sono un’esperienza traumatica. Mogli, madri, bambini vendono perquisiti. I tempi di attesa sono lunghissimi, i controlli avvengono sotto uno spirito di minaccia con la fobia che possano essere introdotti in carcere oggetti o droga. Non so come sia possibile dato che i detenuti devono spogliarsi prima e dopo l’incontro».

La sessualità è un diritto e un’esigenza fisica, soprattutto per i più giovani. La stanza dell’affettività evita non pochi imbarazzi. «Al Due Palazzi i giornalini per adulti non sono consentiti, ma in qualche modo arrivano; gli agenti se li trovano sono tolleranti. Il problema è che per alcuni detenuti diventa una fissazione». 

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