Unabomber, arriva l’ennesimo rinvio: slitta di altri 60 giorni la perizia sul Dna

Il gip di Trieste concede più tempo ai periti. Gli avvocati denunciano ritardi ingiustificati e mancanza di trasparenza: «Accertamenti genetici fermi da due anni e mezzo, si svuota il diritto di difesa»

La Scientifica al lavoro dopo un attentato di Unabomber. (Foto di archivio)
La Scientifica al lavoro dopo un attentato di Unabomber. (Foto di archivio)

C’è ancora da attendere. A oltre trent’anni dal primo attentato. Se il Dna ricavato dal riesame, con le nuove tecnologie, dei reperti probatori a carico di Unabomber corrisponda, o no, a una delle 11 persone iscritte sul registro degli indagati dopo la riapertura dell’inchiesta; se dalla banca dati del Dna, all’epoca dei fatti non esistente, sia affiorato un profilo genetico compatibile con quello del criminale che tra il 1994 e il 2006 disseminò di ordigni il Nord Est; o se sia saltato fuori un nome completamente nuovo e a sorpresa non lo si saprà nemmeno stavolta. 

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Il nuovo rinvio

Con provvedimento datato 23 luglio 2025 (notificato oggi, venerdì 25 luglio,), il giudice per le indagini preliminari, la dottoressa Mangiante, ha accolto l’ennesima richiesta di proroga presentata dai consulenti tecnici nominati dal giudice nell’ambito di un incidente probatorio richiesto dalla Procura della Repubblica di Trieste per il caso di Unabomber. La decisione ha suscitato forti critiche da parte delle difese, che da mesi segnalano la dilatazione dei tempi e l’assenza di trasparenza.

A prendere posizione, con una dichiarazione congiunta, sono gli avvocati Alessandra Devetag e Leopoldo Da Ros, che rappresentano gli indagati coinvolti nel procedimento, alcuni dei quali iscritti da anni nel registro, mentre un altro (Angelo La Sala) è nel frattempo deceduto.

Gli avvocati ricordano che i periti hanno ricevuto l’incarico il 13 marzo 2023 e che già in quell’occasione avevano indicato un termine di 90 giorni per completare gli accertamenti. Solo a dicembre dello stesso anno, quasi nove mesi dopo, sono stati raccolti i campioni genetici dagli indagati, che si erano resi disponibili spontaneamente.

Da allora, si è assistito a una serie di proroghe “generiche e ciclostilate”, sempre motivate con il richiamo alla “complessità delle indagini”, senza che vi sia stato un vaglio critico da parte del giudice né richieste di chiarimento, denunciano i legali.

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Istanza respinta, proroga concessa

Il 17 giugno scorso, le difese avevano depositato una formale richiesta per la fissazione di un’udienza di interlocuzione con i consulenti del giudice, una necessità condivisa persino dal Pubblico Ministero durante l’ultima udienza. Nell’istanza, si denunciava la progressiva estensione del numero di soggetti sottoposti a prelievo di DNA, includendo — secondo i legali — persino cittadini coinvolti nel ritrovamento dei reperti, il che solleva dubbi sull’affidabilità metodologica, specie a più di vent’anni dai fatti.

La richiesta di confronto è stata rigettata il giorno successivo, il 18 giugno, con una motivazione stringata di due righe, ancora una volta fondata sulla complessità tecnica, senza affrontare nel merito le obiezioni avanzate dalla difesa.

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Udienza del 15 settembre già “inutile”

Con la nuova proroga accordata, la prossima udienza fissata per il 15 settembre 2025 risulta di fatto svuotata di contenuto, poiché i nuovi termini per il deposito della relazione peritale non saranno ancora scaduti. Per le difese, è la prova evidente dell’inefficacia organizzativa del procedimento e dell'impossibilità di esercitare pienamente il diritto di difesa in una fase – quella dell’incidente probatorio – che è cruciale per l’acquisizione anticipata della prova.«Non ricordiamo una perizia genetica protrattasi per oltre due anni e mezzo, nemmeno nei casi di maggiore rilevanza nazionale», osservano i legali, che parlano apertamente di “sdegno” e “senso di impotenza” per i continui rinvii, concessi nonostante una ferma opposizione motivata.

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Nel frattempo, gli indagati — rimasti formalmente tali per più di due anni — continuano a subire danni morali e reputazionali, amplificati dal contesto di piccole comunità locali dove la risonanza mediatica del procedimento rende impossibile distinguere tra indagine e colpevolezza.

Le difese annunciano che proseguiranno nel richiedere trasparenza e rispetto del contraddittorio, auspicando un cambio di passo nella gestione del procedimento, che secondo loro non può più tollerare proroghe “di prassi” senza giustificazione concreta.

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