Il papà di due figli plusdotati: «Hanno entrambi un QI sopra i 130, ma non chiamateli geni»

La testimonianza di una famiglia, entrambi i ragazzi hanno quoziente intellettivo superiore a 130. Il papà: «Notavamo dei comportamenti particolari, ma nessun problema a livello cognitivo»

Lorenza Raffaello
Il racconto di un papà che ha due figli plusdotati
Il racconto di un papà che ha due figli plusdotati

«Notavamo dei comportamenti particolari da parte di mio figlio perché a scuola era quello sempre un po’ isolato, faticava a stare con i coetanei, mentre interagiva benissimo con ragazzi più grandi e adulti.

In classe era sempre in movimento e non faceva mai quello che dove fare, ma non è stato riscontrato nessun problema a livello cognitivo, anzi riusciva a fare una cosa e seguirne un’altra contemporaneamente, questo lo faceva percepire come una persona diversa rispetto agli altri».

Massimo è il papà di due ragazzi di 16 e 18 anni, entrambi plusdotati.

Entrambi hanno un quoziente intellettivo superiore a 130. Ma anche lui come chiunque conosca il mondo dell’alto potenziale cognitico ribadisce: «Non chiamateli geni, sono ragazzi con un neurofunzionamento diverso dagli altri». Massimo ha scelto di sottoporre a una valutazione entrambi i suoi figli all’età di 7 anni, lui e la moglie avevano bisogno di capire perché i loro bambini sembrassero così diversi dai coetanei: «Nostro figlio alle elementari svolgeva i suoi compiti in autonomia, ma non si sentiva parte del gruppo classe».

Massimo assicura che il Veneto è sempre stato all’avanguardia nel riconoscere la plusdotazione: «Dieci anni fa erano uscite le prime linee guida sulla plusdotazione e si sono svolti i primi incontri con genitori e specialisti. Sono stati importantissimi».

Secondo quanto viene descritto dai diretti interessati, avere un’intelligenza fuori dal comune porta con sé una maggiore complessità: «I plusdotati hanno caratteristiche di picchi di cognizione, per esempio possono avere un senso della giustizia esagerato, tale da ergersi a giudici degli altri, oppure possono avere un’ipersensibilità a rumori o odori forti e questo genera disagio».

Un ruolo fondamentale è quello giocato da mamma e papà: «I genitori devono capire che non è la società fatta male e devono agire per il bene dei loro figli per evitare che vengano ghettizzati. Spesso si rischia di diventare genitori “spazzaneve” cioè che rimuovono il problema. Ci sono squilibri che devono essere colmati, i genitori hanno il dovere di aiutarli a capire che sono unici ma non soli».

Massimo scende più nel dettaglio: «La plusdotazione non è sempre un problema, spesso è un’opportunità se coltivata e stimolata a dovere, ovvero portata nell’ambito della normalità. Un po’ come qualcuno che nasce più alto della media: per passare sotto le porte è un problema, per prendere i barattoli in alto è utile, per giocare a basket è un buon punto di partenza. Bisogna, quindi slegare il concetto di plusdotazione da quello di malattia. È una condizione da capire.

E anche da sfruttare: i miei figli si sono divertiti moltissimo nelle gare di matematica, fisica e informatica. Il punto focale è la felicità e la serenità dei ragazzi, che tendono ad avere spesso un’alta coscienza di sé e quindi a subire molto il contraccolpo dell’insuccesso, specie quando si pretende da loro che siano di successo. In questo sono fondamentali i genitori».

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