Fabrica 3.0, ecco il tecno umanesimo del nostro tempo

Il microcosmo creativo di Davide Balda è una minuscola chiesa, la pertinenza ecclesiastica della Villa Pastega Manera, a Villorba. È il nucleo storico di Fabrica, poi restaurato e ampliato dal grande Tadao Ando. La chiesetta è lo studio temporaneo di Davide. Gliel’hanno assegnata qualche mese fa, per consentirgli di lavorare al suo progetto. E lui l’ha riempita di tessuti soffici, un po’ scarti e un po’ idee, come funziona o deve funzionare oggi.

Il Dipartimento di Sostenibilità di Benetton Group cerca applicazioni per far fronte all’impatto dell’industria tessile sull’ambiente e favorire lo smaltimento sul posto. Con una macinazione manuale, i prodotti vengono ridotti a fibre tessili coloratissime, sintetiche e organiche. E diventano materia prima. In due modi. Uno ha un nome suggestivo, sembra arrivato da un fumetto: si chiama “tecnosuolo”. La fibra è usata come substrato fertilizzante. L’altro è un nuovo materiale per l’edilizia: uniti a scarti di argilla del Sile, i tessuti si fondono con la terra per creare moduli. È l’utopia dei mattoni di domani.
Davide Balda, genovese, è del 1998: è nato 4 anni dopo la struttura che lo ospita. L’astronave aliena di Fabrica è atterrata sulla pianura trevigiana, e nelle coscienze, nel 1994. A luglio qui si festeggerà il trentennale, con una reunion di percorsi planetari. Fabrica è un luogo silenzioso e curato; ha una sua mistica e la prima metafora che sale alla mente è quella del monastero; tendenzialmente un monastero benedettino dove si segue una Regola. Ora et labora, che qui si traduce in studia e applica.

L’abate di questo monastero è Carlos Casas, cinquantenne di Barcellona, regista sperimentale che ha esposto arte e presentato film a Venezia, Rotterdam, alla Tate Modern e nell’Hangar Bicocca. È gentile e parla quasi sottovoce. Ha poco del “signor preside”, è informale ed empatico. C’è un grande pannello giallo su una parete: in alto ha la cartina del mondo e tante rotte curve, che “piovono” su Villorba come rotte aeree, mentre in realtà sono le provenienze dei vari fabricanti che hanno trascorso il semestre qui, da ogni continente. Sotto c’è un lunghissimo elenco di nomi e cognomi: i fabricanti, dal primo giorno a oggi (al 633 si scorge anche Bebe Vio). «Ecco, io sono qui», e il direttore indica se stesso, numero 82.
Era il 1998, quando è nato il ragazzo dei tessuti nella chiesetta. Da apprendista a spirito guida, per Carlos è un cerchio del tempo. Quando Luciano Benetton con Oliviero Toscani illumina questa scintilla, il riferimento storico e filosofico è l’imparare facendo caro a un certo umanesimo e al Rinascimento. Una bottega del Verrocchio o di Cimabue, non necessariamente con Leonardo o Giotto ragazzini, in giro tra gli apprendisti, ma pronta ad accoglierli se mai dovessero presentarsi; e pronta a ospitare il pensiero e l’azione di quelli come loro. Una bottega adattata a un futuro multimediale, dove le arti si rigenerano con nuove dimensioni, dal video alla pubblicità, dalla grafica digitale al design di spazi e oggetti. Sempre con un’idea di fondo: il talento è individuale ma si forma nel confronto collettivo. La classe di ogni semestre, le bici per andare e venire da Treviso, i pranzi alla mensa della Benetton, gli eventi affidati a rotazione a ogni fabricante. La paziente costruzione di una memoria che segnerà il resto della vita, in un percorso che non sempre e non necessariamente sarà fatto d’arte, ma che l’arte la conterrà, come strumento ancestrale, in ogni cosa che si farà domani.

Fabrica investe su questi gruppi internazionali improvvisi, attraverso una “residenza d’arte gratuita” invitandoli a fare ricerca e sperimentazione, sfidandoli all’immaginazione. Si contaminano a vicenda: siamo già a quota 800 artisti da 80 Paesi diversi, mentre almeno 500 sono le personalità visionarie chiamate a condividere il loro genio. Tra loro, nomi impressionanti: Marina Abramović, Sebastião Salgado, Abbas Kiarostami, Martin Parr, Michael Nyman, Samantha Cristoforetti, Philippe Starck, Roberto Saviano, per menzionare i più immediati per fama. Il fotografo e l’architetto, l’astronauta e il narratore.
Anime diverse.

A distanza di trent’anni Fabrica, sulle mappe pubbliche e interiori, si conferma l’isola che non c’era. Ora deve porsi la sfida più grande: diventare un modello e non un’eccezione. Restare la prima, ma non essere più la sola. Questa sfida riguarda i fabricanti, chi li seleziona, chi li educa e li incoraggia. Ma a ben vedere riguarda tutti noi, chiamati a fare di questa esperienza un moltiplicatore. È la speranza di un respiro culturale più ampio. Rigoroso come le forme essenziali, le curve, l’erba rasata e i colonnati di Villorba; eppure anche imprevedibile e magico. Come la fantasia di chi è giovane.
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