Perde il lavoro perché incinta, 'è discriminazione di genere'

Giudici condannano azienda anche a risarcire il danno

(ANSA) - TRENTO, 15 MAG - Aveva perso il lavoro perché era rimasta incinta e si era rivolta alla Cgil e la Corte d'appello di Trento ha accolto il ricorso dell'impiegata in staff leasing a cui Dana, l'azienda per cui la donna lavorava, aveva interrotto la missione a fronte della gravidanza. L'azienda è stata condannata per discriminazione di genere. La causa è stata seguita dall'avvocata Sonia Guglieminetti, col sostegno della Fiom, del Nidil e dell'Ufficio vertenze della Cgil del Trentino. I fatti risalgono al 2021. L'impiegata, addetta alla contabilità, lavorava in Dana con un contratto interinale, con missione a termine fino al 2049. Nel settembre 2021 era entrata in gravidanza a rischio e, per questa ragione, Dana l'aveva estromessa dall'organico, interrompendone la missione. In conseguenza a questa decisione, la lavoratrice è quindi tornata in capo all'agenzia di somministrazione, che, non potendola ricollocare a causa della gravidanza, le ha erogato solo l'indennità di mancata missione: un terzo dello stipendio che avrebbe percepito se il diritto alla maternità le fosse stato garantito. A fronte delle rimostranze della Fiom, Dana prima ha sostenuto di non avere alcun dovere nei confronti dei lavoratori in somministrazione e poi, davanti al giudice del lavoro, ha detto che la decisione era "conseguenza di una ristrutturazione aziendale" e che la concomitanza con la gravidanza era pura coincidenza, così come pura coincidenza era stata l'identica decisione assunta nei confronti di un'altra lavoratrice interinale andata in gravidanza. La Corte - sottolinea il sindacato - ha accertato che il comportamento di Dana è derivato da una discriminazione verso le donne: tra circa un migliaio di lavoratori, stabili e precari, le uniche due estromesse da Dana in quel periodo erano state proprio quelle due donne. La condizione di una lavoratrice in stato di gravidanza - ha sancito la Corte - va tutelata sempre, anche se lavora con un contratto precario. In caso contrario, si è di fronte ad una discriminazione. Per questa ragione Dana dovrà riconoscere alla lavoratrice il 100% della retribuzione sino al compimento dell'anno di età del figlio, e risarcire il danno dovuto alla discriminazione di genere. Accollate integralmente a Dana anche le spese legali. (ANSA).

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso