Marco Paolini sul Monte Tomba con l’Atlante delle Rive

L’artista è atteso il 4 luglio per la giornata di apertura del festival “La giusta distanza”: «L’acqua ci parla di società è ingiustizie»

Elena Grassi
Marco Paolini e Mirko Artuso al festival La Giusta Distanza
Marco Paolini e Mirko Artuso al festival La Giusta Distanza

Marco Paolini sarà uno degli ospiti attesi il 4 luglio sul Monte Tomba nella giornata di apertura del festival “La giusta distanza”, di cui la Tribuna di Treviso è media partner. L’artista interverrà alle 19.30 per presentare lo “Studio per un racconto” inserito nel progetto Atlante delle rive, che narra l’Italia attraverso i distretti idrografici, i fiumi e le loro storie. Prenotazioni@teatrodelpane.it, oppure tel/whatsapp 3803842008.

 

Perché tra i tanti temi di teatro civile che lei ha affrontato nella sua carriera ha ritenuto ora di dedicarsi alla gestione idrica?

«Ho affrontato temi legati al nostro territorio anche in passato, ma da quando abbiamo iniziato il percorso di Fabbrica del Mondo e l’agenda Onu 2030, mi sono reso conto che la problematica della risorsa acqua ne contiene molte altre: l’ingiustizia sociale, le questioni economiche, la questione della biodiversità, le questioni che riguardano il paesaggio, che riguardano la nostra relazione con gli altri, quello che durante Mar de Molada ho chiamato “il convivio”. La mia consapevolezza della possibilità di occuparmi di questo a teatro è forse tardiva rispetto ad altre cose che mi sembravano più importanti. Ma adesso, negli ultimi anni e come progetto di lavoro, questo è diventato il più importante».

 

Se pensiamo alla nascita delle grandi civiltà della storia, come la si studia a scuola, ci viene subito in mente la Mesopotamia, terra tra due fiumi: cosa ci ha fatto perdere nel corso del tempo il focus sull’importanza della risorsa idrica?

«Non vorrei mitizzare gli antichi e in questo modo scaricare la responsabilità sui nostri contemporanei. Di sicuro c’è stato un fenomeno: la distruzione della Seconda Guerra Mondiale e la veloce ricostruzione che ha coinciso con quella che in economia si chiama “la grande accelerazione”. Un’accelerazione tecnologica, un passaggio rapido nel nostro paese da una maggioranza di impiegati in agricoltura a, invece, un impiego massivo nell’industria con conseguente abbandono di molti terreni agricoli e ridimensionamento del ruolo dell’agricoltura. Oggi noi viviamo in un paesaggio fondato e formato da strati di agricoltura nel tempo e non c’è che l’agricoltura che potrà dare forma al futuro, ma non può essere una cosa che lasciamo soltanto a chi coltiva la terra e a chi produce con questo lavoro. Deve essere un’attenzione che riguarda anche i cittadini».

 

Per Atlante delle Rive, al quale prende parte anche Mirko Artuso con il Teatro del Pane, vi state occupando insieme a tanti altri artisti della questione idrica. Che cosa ci può dire dello studio di un racconto che porterà al festival “La Giusta Distanza” ?

«Al festival La Giusta Distanza porterò alcuni materiali che fanno parte sia del percorso di Mar de Molada sia di quello nuovo che sto intraprendendo per raccontare ancora dei fiumi del Veneto. Sarà un filò, sarà una narrazione semplice, senza supporti scenici, come si addice allo stile di tutto il lavoro e il progetto de “La Giusta Distanza”».

 

Qual è il contributo che può portare il teatro e un festival come “La Giusta Distanza” alla questione? E qual è il contributo che può portare ciascuno di noi?

«Il nostro impegno può arrivare ai cittadini a condizione che non diamo per scontato che bastino delle belle parole: occorre indicare, accanto alle riflessioni, anche possibili soluzioni. Saranno divisive? Sicuramente, ma è proprio da una discussione su queste cose che il contributo individuale, la responsabilizzazione delle persone entra in gioco. Così come una volta il teatro era occasione per sospendere i conflitti e ritrovarsi in una dimensione pubblica, in qualche modo oggi, di nuovo, il teatro può essere un luogo di cittadinanza in cui si sospendono le beghe e si affrontano le discussioni cercando di superare quelle che sono le stratificazioni dei rancori, perché noi abbiamo bisogno di trovare delle soluzioni che siano ampiamente condivise. Non ci basta andare d’accordo con chi la pensa in modo simile a noi. Dovremo trovare compromessi con persone che la pensano in modo diverso. È chiaro che non ci riusciremo con tutti, non ci sarà mai unanimità, ma più è larga, più è umana, più è empatica la discussione, più facile sarà trovare soluzioni. In questo, il linguaggio universale dell’arte qualcosa può dare».

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