Zaia: «inchiesta a orologeria»

La tempistica fa pensar male, con l’uso sproporzionato di risorse investigative in coincidenza con le istanze di indipendenza e di autonomia manifestate dal Veneto. Sembra un’inchiesta a orologeria. Non vedo il brodo primordiale di una cellula terrorista, credo piuttosto che siano in gioco le libertà di espressione e di pensiero. Le accuse? Oggi avranno gli onori della cronaca, tra un anno finirà tutto a pacche sulle spalle, con laute parcelle per gli avvocati». Il governatore leghista Luca Zaia smette gli abituali toni felpati e rincara: «Chi sceglie la violenza va condannato senza appello ma non è questo il caso: qui si arrestano i secessionisti, a Roma si svuotano le carceri e si abolisce il reato di clandestinità. Tra i veneti il malcontento cresce e si inasprisce non perché qualcuno sale sopra una ruspa ma perché la gente non ce la fa più a sbarcare il lunario».
Nella politica veneta, raggiunta dagli echi dell’inchiesta di Brescia all’indomani del controverso voto sui referendum, l’atteggiamento critico è prevalente e trasversale. «Se lo Stato ha paura di questo, io ho paura di questo Stato. Roma non vuole cedere nulla e camuffa da terrorismo una carnevalata. Un autogol clamoroso», le parole di Giuseppe Bortoluss, il consigliere regionale che quattro anni fa sfidò Zaia sotto la bandiera del centrosinistra. «La causa indipendentista non poteva trovare migliore alleato della Procura di Brescia», fa eco Diego Bottacin, apprezzato montiano di Scelta Civica «lo Stato e la magistratura, incapaci di contrastare la corruzione che dilaga nella pubblica amministrazione e di contrastare le mafie che approfittano della crisi, esprimono una capacità di intelligence straordinaria nel prevenire azioni eversive ideate da un esercito parallelo immaginario. Non conosco nessuno degli arrestati, tranne Franco Rocchetta. Non ho mai condiviso il suo pensiero ma immaginarlo come un pericoloso sovversivo alla guida di un trattore blindato mi fa morire dal ridere. Questa montatura ha le caratteristiche di una farsa ma può diventare un dramma».
Tra il serio e il faceto, il commento di Stefano Valdegamberi (Futuro popolare) firmatario del progetto di legge referendario per l’indipendenza: «Io sono un cimbro gandhiano, ho sette vite, e sono anche un democratico cristiano, lontano anni luce dalla violenza e libero di pensiero. La coincidenza temporale tra il voto della commissione e le manette è sospetta ma non ci faremo condizionare né intimidire. Ho fiducia nella buona fede della giustizia ma la volontà popolare è sovrana».
Critiche le reazioni della Lega, alla quale peraltro gli indipendentisti non hanno lesinato attacchi, associandola ai «criminali politici italiani». Tant’è. «Imputazioni che fanno sorridere», afferma il capogruppo Federico Caner «questo Stato è forte con i deboli e debole con i forti, risponde con la galera a chi osa dissentire. La via all’autodeterminazione resta quella catalana: democratica, paziente e legalitaria». Per ribadirla, Andrea Bassi espone in aula un cartello («Le idee non si arrestano, giù le mani dagli indipendentisti») e in serata un drappello del Carroccio - tra gli altri, Daniele Stival, Maurizio Conte, Marino Finozzi, Nicola Finco, Matteo Toscani - sventolerà la bandiera del Leone sul molo di San Marco, previa autorizzazione della questura. «Le uniche armi che vogliamo fornire ai veneti sono la scheda e la matita», scandisce Mariangelo Foggiato di Unione NordEst.
Diverse le reazioni in casa Pd. «Guai a scherzare con il fuoco», l’opinione di Lucio Tiozzo e Piero Ruzzante «perché alimentare aspettative straordinarie promettendo soluzioni impossibili e illegali, può spingere a gesti inconsulti. La stragrande maggioranza degli indipendentisti è pacifica ma qualche fanatico che impugna la pistola può sempre spuntare. La ricetta? Lavorare per accrescere l’autonomia del Veneto, quella possibile, prevista dalla Costituzione e il Governo non deve mostrarsi sordo a questa richiesta». Non molto diversi i toni di Forza Italia: «Predicare la secessione è un atto ingannevole e pericoloso, perciò l’ho respinto», fa sapere Dario Bond. «Gli indipendentisti fondino un partito e si misurino con il consenso», la sfida di Leonardo Padrin «e si faccia anche il referendum, noi inviteremo a votare no ma finalmente sarà spento questo fuoco che cova sotto la cenere». «Gli arresti? Un boomerang pazzesco, così diventeranno martiri», afferma l’assessore Elena Donazzan. Di avviso opposto Gennaro Marotta dell’Idv: «Sono schegge impazzite che vanno fermate». Ecumenico, come al solito, il presidente dell’assemblea Clodovaldo Ruffato: «Stento a credere a ciò che riportano le agenzie ma ho fiducia nella giustizia».
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