Venti wc: il vaffa del conte Emo

L’ha definito un’opera d’arte post-pop, chi l’ha ricevuto, però, l’ha “letto” in maniera differente ovvero un invito, non poi così implicito, ad andare a espletare quei bisogni corporali che rendono uguali nobiltà e popolo. Di fatto il bizzarro omaggio recapitato ieri ha vivacizzato gli ambienti della palladiana villa Emo e non solo.
Il conte Leonardo Emo, per tutti Marco, che ora abita tra le amene colline toscane, ha fatto consegnare da un corriere espresso venti water closet, nel linguaggio forbito di chi respira noblesse, tazze del Wc, per il popolo. «Un oggetto sanitario assolutamente nuovo di zecca e dal design innocente, funzionale e dal valore economico ragionevole», lo descrive lo stesso nobile nella lettera d’accompagnamento, racchiusa in uno dei due faldoni impacchettati nello scatolone con il pregevole oggetto d’arte.
Venticinque chili di pregiata ceramica Dolomite, valore sul mercato settanta, ottanta euro. L’opera d’arte originale è destinata al presidente del Credito Cooperativo Trevigiano, Piero Pignata. Per gli altri diciannove omaggiati una replica, di analogo valore commerciale, ma di diverso peso culturale. Tra di loro i tre componenti del consiglio di amministrazione della Fondazione Villa Emo, a cui è affidata la diretta gestione della dimora palladiana.
E ancora il governatore veneto Luca Zaia, il ministro per i beni e le attività culturali Dario Franceschini, la sindaca Cristina Andretta in qualità di rappresentate della comunità vedelaghese, autorità varie e tre probiviri d’eccezione chiamati a difendere la “Cultura Universale e Italiana”: i due critici d’arte Philippe Daverio e Vittorio Sgarbi e il filosofo Massimo Cacciari.
A spingere il conte a un “vaffa” generale «il guanto di sfida» lanciatogli da Piero Pignata con una lettera dello scorso 2 maggio in cui lo ha invitato a ritirare «la documentazione di sua proprietà costituente archivio privato della famiglia Emo Capodilista entro la fine del prossimo mese di giugno». Carte e atti conservati dalla banca in seguito al passaggio di proprietà della villa palladiana, che raccolgono la storia della dinastia Emo e, con essa, quella del territorio “dominato”.
Un invito che il conte ha interpretato come un vero e proprio affronto e, al tempo stesso, come «un segnale d’allarme sul complesso monumentale villa Emo di Andrea Palladio minacciato dal sistema, ancora predominante della cultura retrograda e ignorante».
Pignata non commenta, ribadisce l’impegno del suo istituto e del cda della fondazione per villa Emo, impegno che i numeri di eventi e visitatori confermano. Il conte chiama i sedici “testimoni” e i tre “probiviri” a difendere un patrimonio che la banca, a suo dire, vuole smembrare. L’archivio di famiglia è una componente imprescindibile della storia di villa Emo. Così la sola richiesta di riprendersi le carte suona, a suo dire, come una sorta di naufragio di quella “fantastica nave” di cui nel lontano maggio 2004 ha ceduto la barra del timone, convinto che darla a una banca significasse salvarla dalla speculazione di qualche magnate che l’avrebbe resa prigioniera sotto l’impenetrabile protezione di vigilanti armati.
L’originale protesta del conte, negli ambienti della Bcc, viene interpretata come un’autocandidatura a tornare a gestire il patrimonio “salvato” da quell’azione popolare che spinse la banca ad acquistare la dimora minacciata da una cava di ghiaia pronta a fagocitarne paesaggio e respiro
Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso