Resta invalida dopo l’intervento al collo

Spresiano, Natascia Mosole, mamma di 34 anni, sopporta i dolori solo con un elettrostimolatore e chiede i danni all’Ulss
Di Rubina Bon

SPRESIANO. Dopo l'operazione per l'asportazione di un linfonodo sul collo, la sua vita di giovane donna è stata completamente stravolta: deve vivere 24 ore su 24 con un elettrostimolatore sottocutaneo per lenire i dolori altrimenti insopportabili, ha perso la completa autosufficienza, si è sottoposta negli anni ad altre undici operazioni, ha speso oltre 35 mila euro tra visite specialistiche, terapie, consulenze, viaggi negli ospedali. «Durante l'intervento mi è stato danneggiato un nervo accessorio spinale» denuncia Natascia Mosole, 34 anni, di Spresiano, che ha fatto causa all'azienda sanitaria trevigiana. I fatti affondano le radici oltre sette anni fa. Il 7 marzo 2005 Natascia era stata operata per la rimozione del pacchetto linfonodale laterocervicale destro nel reparto di Quarta Chirurgia dell'ospedale Ca' Foncello di Treviso. Subito dopo l'intervento chirurgico, la 34enne spresianese aveva lamentato fortissimi dolori all'altezza della spalla destra, a cui si aggiungeva un deficit di forza del braccio destro e una modifica della postura, con la mano arrivata nel tempo a toccare il ginocchio. Prima le fisioterapie, poi le valutazioni neurologiche per spiegare quei dolori insopportabili: la donna aveva iniziato un “pellegrinaggio” negli ospedali, tra cui Udine, Ferrara, Rovigo, fino a Vienna. Nel frattempo la sintomatologia era sempre più accentuata: i fortissimi dolori e le fitte portavano addirittura la donna a svenire. «Anche venti, venticinque volte al giorno», racconta. E poi la balbuzie. Proprio gli svenimenti e i continui periodi di malattia avevano costretto la 34enne a licenziarsi dalla ditta di acciaieria dove lavorava come impiegata. Alla fine del 2007 era arrivata la diagnosi di sindrome algodistrofica riflessa, detta anche “Complex regional pain”. Per convivere con i dolori, alla 34enne è stato applicato sottopelle un elettrostimolatore nervoso (sostituito più volte, l'ultima nel febbraio 2011), una sorta di pacemaker che stimola i nervi e permette alla donna di controllare meglio le fitte. Grazie all'apparecchio, che in ogni caso condiziona la vita del paziente, Natascia è stata in grado di riprendere in mano a piccoli passi la propria vita. Dall'amore con il marito è nata una piccolina, prossima a compiere un anno. Certo, la sua esistenza è profondamente segnata. «Non posso tenere in braccio mia figlia», racconta Natascia Mosole, «e nemmeno stare a casa sola, è troppo rischioso». Dal 2008 la 34enne è in causa con l'azienda sanitaria di Treviso, ritenuta responsabile della lesione al nervo che ha portato alla malattia e al grado di invalidità permanente. Attraverso l'avvocato Corrado Calacione, dello studio Kostoris e Associati di Trieste, la giovane mamma vuole giustizia e chiede il risarcimento danni. Nella sua relazione, il consulente tecnico d'ufficio nominato dal tribunale di Treviso rileva «profili di inadeguata attività medico-chirurgica causali della predetta lesione iatrogenica», contestando tra l'altro il fatto che in fase operatoria non sarebbero state osservate le metodologie per evitare la lesione del nervo. Ora la parola passa al giudice.

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