Racconti di Naja:l’alpino di Treviso sfuggito al terremoto

TREVISO. Una foto, un tuffo al cuore, un’esplosione di ricordi. Era il maggio del 1976. Lui, Roberto Zandonà, alpino trevigiano, al centro dello scatto che immortala la “sua” caserma, la Goi Pantanali di Gemona, rasa al suolo dal terremoto: un dolore fortissimo cui fa da contraltare il sollievo per essersi salvato. Nei racconti di naja alpina che ci avete mandato riemerge la cronaca di un miracolo. Una spedizione punitiva, una licenza negata, la medaglietta del papà saltata fuori da una tasca, sono gli ingredienti di questa storia. Sullo sfondo il terribile sisma del Friuli. «Poco tempo fa ho ritrovato on line una mia foto risalente al maggio del 1976», racconta Roberto. «Nel drammatico contesto la mia presenza sulla scena è a tutti gli effetti un miracolo».

Un miracolo che prende le mosse da un pugno. Tutto ha inizio la vigilia di Natale del 1975: «Erano previsti tre scaglioni di licenze: Natale, fine anno ed Epifania. All’adunata mattutina il capitano mi disse che se qualcuno avesse avuto serie necessità di un supplemento di licenza di 48 ore poteva farsi avanti subito. Si fecero avanti tutti, ma il capitano li ignorò stizzito e venne da me (l’unico rimasto fermo al suo posto, non avendo serie necessità da esporre) per avvisarmi che solo io potevo avere il supplemento di licenza». Quella per Roberto era una mattinata fortunata: «Alla lotteria del soldato avevo vinto una radiolina e il distributore automatico di merendine finalmente aveva sbagliato sfornandone due al posto di una». Poi l’imponderabile: «Nel pomeriggio avevo deciso di andare in città, passando in bici dalle parti di via Roggia, deserta per un blocco dei bus, e sono stato assalito da una banda di sei “picchiatori” armati di pugno di ferro: così i giorno dopo, invece di vedere la giacca rossa di Babbo Natale ho visto il camice verde del chirurgo e le stelle (anche comete) per il dolore».

Dopo qualche settimana di convalescenza e gli accertamenti all’ospedale militare di Padova, che Roberto ricorda «per le bistecche dure come suole Vibram da affrontare con posatine di plastichetta», è nuovamente abile. Passano i mesi ed è ora di approfittare dei 10 giorni di licenza ordinaria. Ma la convalescenza gli ha fatto perdere ogni diritto e il capitano gli dice che gli darà tre giorni quando potrà. Arriva quel 6 maggio: «Stavo male, avevo la febbre. Il pomeriggio mi ero addormentato nella cabina di un autocarro “CM”, quando sono stato svegliato dal furiere che mi ha consegnato una licenza di tre giorni . Non volevo andare a casa, stavo veramente male». Ma ormai non si può più rinviare. Ecco il piccolo miracolo di Roberto: «Alla biglietteria della stazione ferroviaria di Gemona frugando nel portafogli saltò fuori la medaglietta che sicuramente salvò mio padre durante i suoi 7 anni di naja e guerra». Il resto della storia è terribilmente noto: «Il treno si fermò per un bel po’ prima di arrivare a Treviso. Dal vociare di due donne in ciabatte seppi del terremoto». Roberto solo dopo qualche giorno riesce a tornare alle macerie della sua caserma, dove ci sono ancora dispersi da trovare. «In divisa da libera uscita dovevo scavare proprio dove molto più sotto ci dovrebbe essere la branda di chi stiamo cercando, proprio di fronte alla mia. Dovevo portargli una bottiglia di vino, ma me ne sono dimenticato. Man mano che il lavoro prosegue mi rendo conto che ormai è inutile cercare una scusa. Qualcuno fotografa, ma nessuno ci fa caso. Le macerie ci pesano sul cuore».
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