Orlando, 32 anni all’Advar. «A Treviso lascio una grande famiglia»

La storia
Medico oncologo e palliativista, per 32 anni alla guida dell’Advar come direttore sanitario, il dottor Antonio Orlando lascia l’incarico e proseguirà fino a fine anno come consulente della struttura nella veste di dirigente emerito, come voluto dal consiglio di amministrazione. I tempi, stando alle sue parole, erano maturi per la scelta, che definisce un vero e proprio cambio di vita dettato dai 75 anni all’anagrafe, dalla voglia di concedere un po’ di tempo alla famiglia e al nipotino in arrivo, trovando un po’ di spazio anche per l’orto, la lettura, i viaggi e il pianoforte. Alle spalle un lungo quanto avvincente cursus honorum.
Dalla parte dei malati
«Ho colto il momento giusto», dice il medico, «Cinquant’anni della mia attività professionale accanto agli ammalati, 32 anni di presenza in Advar, che ho contribuito a far nascere e poi a far crescere fino a diventare una realtà molto conosciuta e apprezzata sul territorio trevigiano, 16 anni di Hospice Casa dei Gelsi, che ho diretto già dalla sua apertura, avvenuta nel giugno 2004». Pioniere delle cure palliative, intese come supporto necessario alla terapia e come doverosa garanzia di dignità fino all’ultimo respiro, il dottor Orlando si è battuto per fare in modo che la Marca trevigiana si dotasse di professionisti formati e creasse percorsi dedicati ai malati terminali, d’intesa con l’Usl 2.
Gli esordi
Erano gli anni Ottanta, tempi in cui il concetto di curare l’incurabile, andando a lenire i sintomi della malattia ormai refrattaria ai farmaci, quasi non veniva preso in considerazione. Le cure palliative erano la cenerentola della Medicina, poco studiate, per nulla praticate. Insieme alla presidente Anna Mancini Rizzotti, Orlando ha insistito per estendere la missione dell’Advar creando spazi di cura e momenti per prendersi cura dei pazienti, dando risposta al dolore fisico ed emotivo, senza mai dimenticare il sostegno alla famiglia.
Il modello
Così è nata la Rete delle Cure Palliative a livello locale, divenuta in breve tempo un modello di riferimento su scala nazionale, uno stimolo avveniristico per fare avanzare il nostro Paese nella consapevolezza e nella capacità di offrire a chiunque venga colpito da una malattia inguaribile la possibilità di trovare un’assistenza personalizzata, ritagliata sui bisogni, sensibile nell’accogliere i momenti di fragilità e capace di infondere calore umano. «Certamente mi mancheranno gli ammalati e le loro famiglie, che sono stati da sempre il motivo e il senso della mia vita, il mio impegno quotidiano. Ho avuto la fortuna e il privilegio di conoscere e di accompagnare e dai pazienti ho imparato tanto, sono stati per me occasione di crescita umana e spirituale», sottolinea il dottor Orlano, «Mi mancherà molto anche l’Hospice, mia seconda casa, non tanto ovviamente come struttura, quanto come personale e luogo di cura, di accompagnamento, la cui frequentazione è stata continua e assidua negli ultimi 16 anni. Mi mancheranno anche i rapporti con i colleghi e tutti gli operatori, del domicilio, ma anche con i medici dell’ospedale e del territorio con i quali ho tessuto negli anni una bella e fattiva collaborazione».
I collaboratori
Non si contano i ricordi e le esperienze in corsia, al fianco delle collaboratrici più strette: Monica, Ale, Luz e un’altra Monica, all’équipe degli specialisti, degli infermieri, degli operatori socio sanitari e dei volontari. Il dottor Orlando promette loro di tenere il telefono sempre acceso per condividere consigli e pareri clinici. All’orizzonte un po’ di riposo e un nuovo progetto: l’istituzione del Comitato Etico Clinico dell’Advar. Non sarà quindi un addio definitivo: il direttore Orlando passa il testimone alla collega Monica Cattaruzza, al suo fianco da 25 anni e ora nuova direttrice sanitaria dell’Advar. «Cogliere questa eredità significa per me custodire ciò che mi viene consegnato, per mantenerlo e farlo crescere», dice la Cattaruzza «secondo i valori della nostra associazione, portando avanti gli obiettivi della nostra presidente che l’ha fondata. Assumo quindi questo ruolo con la consapevolezza di essere parte di un bene comune, al servizio delle persone». —
Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso