«Non mischiamo sacro e profano»

Don Velludo e il collega Bellò contro la celebrazione venetista
Don Giovanni Bellò di Semonzo
Don Giovanni Bellò di Semonzo
 VEDELAGO.
Sulla messa in dialetto arriva la condanna dei parroci. E' unanime e trasversale la condanna all'iniziativa venetista dell'assessore Renzo Franco da parte dei sacerdoti trevigiani. Ieri era don Rino Giacomazzi, parroco di Albaredo e direttore del settore beni culturali, a spiegare come il veneto non fosse presente come lingua liturgica per la Chiesa. Sulla stessa linea don Carlo Velludo, parroco a Treviso, protagonista di diverse battaglie a sostegno degli istituti scolastici parrocchiali parificati. «Domenica si celebra la Pentecoste, la seconda festa più importante per la Chiesa dopo la Pasqua - spiega - mal si sposa un'occasione così importante con un'iniziativa come la messa in dialetto. Non esistono messali in lingua veneta. Non metterei sullo stesso piano un'iniziativa culturale come quella che si svolge a Vedelago con il rito religioso. Non si va a messa con lo stesso spirito con cui si va partecipare ad una cena o ad uno spettacolo teatrale. E' un momento di fede che merita il massimo rispetto. E che va praticato secondo i dettami previsti dalla Chiesa. Un prete non si può inventare un rito proprio».  Sulla stessa lunghessa d'onda è sintonizzato anche don Giovanni Bellò, parroco a Semonzo, frazione di Borso del Grappa, passato alle cronache per aver fatto una sua personale apologia di Silvio Berlusconi all'indomani dello scoppio del caso Ruby, il tutto durante una trasmissione televisiva su La 7. «Fare una cosa di questo tipo, la messa in dialetto, è indice di disobbedienza cristiana - osserva don Giovanni Bellò - la messa è anche segno di devozione e va praticata secondo i dettami della Chiesa. Non si può fare in dialetto. La fede necessita di essere testimoniata con serietà. Non sono per nulla d'accordo con il tentativo di fare la messa in dialetto veneto. Non va bene. Si dovrebbe pensare prima ai doveri che ai diritti. La messa va fatta in italiano, la lingua della nazione italiana. Un linguaggio condiviso. Altrimenti i meridionali cosa capiscono se la si fa in dialetto veneto? Ci vogliono nobiltà, affetto e senso della religione. Si deve difendere la fede. Capisco la generosità di un parroco che accetta di fare questa cosa. Ma è poco serio». Unanime, dunque, la condanna dei parroci. Don Lorenzo Piran, il prete di Cavasagra, chiamato da Franco non si fa trovare. (d.q.)

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