Nello, l’artista dei «selgheri» a Ponte di Piave

Uno degli ultimi artigiani capaci di produrre cesti, gabbiette e oggetti con i tipici rami flessibili dei salici

PONTE DI PIAVE. A chi entra in quell'angusto laboratorio artigianale appare una scena fuori dal tempo. Il protagonista è Nello Zorzetto, cittadino di Ponte di Piave dove nacque 65 anni fa. E' uno degli ultimi artisti dei vimini ancora viventi nella provincia di Treviso, ma probabilmente di tutta la penisola. «Sono stati i miei genitori - spiega - a trasmettermi questa passione. Mamma Luigia e papà Antonio quando avevo 6 o 7 anni hanno cominciato ad insegnarmi a fare dei piccoli cesti con i giovani rami dei selgheri. Da allora questo lavoro mi è entrato nella pelle».

Da sempre le dita delle sue mani intrecciano con grande maestria i lunghi rami flessibili di talune specie di salici. Ed è così che, un po' alla volta, prendono forma vari oggetti utili alla vita domestica, a quella rurale come anche alle attività della pesca e della caccia. Quindi, la sua produzione, per altro numericamente estremamente ridotta, non si limita ai cesti per la raccolta di frutta, verdure o funghi: ma si estende a particolari recipienti per la conservazione dei pesci appena catturati e a curiose gabbiette adatte a tenere le quaglie, il cui uso nelle campagne venete si perde nella notte dei tempi, forse ancor prima dell'età medioevale.

«Si tratta - puntualizza Nello Zorzetto - di piccole gabbie dalla curiosa forma a pera o ad ogiva, larghe alla base che vanno restringendosi verso l'alto dove, al loro culmine, viene posizionata un'imbottitura atta ad attenuare gli effetti dei salti che le quaglie, anche in libertà, usano fare con una certa frequenza». Fino agli anni '60 del Novecento non esisteva casa colonica della Marca trevigiana che non ospitasse almeno un paio di questi contenitori dove venivano riposti, solitamente, i maschi di quaglia durante il periodo dell'accoppiamento e cioè nel momento in cui cantano. Con il caldo di agosto le gabbie, con i rispettivi ospiti, venivano portate in campagna aperta, possibilmente in prossimità di prati d'erba medica; il ritmico caratteristico canto dei "quajotti" richiamava gli esemplari selvatici che numerosissimi si calavano nelle vicinanze per poi essere catturati con le reti o cacciati con i cani da ferma. «Si tratta di una tradizione venatoria - aggiunge l'artigiano - che ormai nei nostri territori è venuta meno: la caccia in estate è vietata e poi le quaglie da noi sono quasi irrimediabilmente sparite, per trovarle bisogna recarsi nei vicini paesi dell'est Europa».

La particolare forma di queste gabbie viene fortemente contestata da varie associazioni ambientaliste, in quanto ritenute troppo piccole e non adatte a volatili migratori che, nell'arco di una notte, percorrono anche centinaia di chilometri. «Posso anche trovarmi d'accordo su questa posizione - sintetizza Nello Zorzetto - ma voglio precisare che nelle gabbiette le quaglie vanno tenute solo per un periodo ristretto». Le richieste di questi affascinanti oggetti di vimini è, per i motivi su esposti, molto limitata: «A volte me le chiedono appassionati che frequentano le fiere di uccelli oppure persone che le valorizzano come oggetti artistici rurali per abbellire le loro case».

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