Morta la camorrista Mazza scatenò le battaglie leghiste

Negli Anni ’90 il suo “confino” a Codogné e la tenda di protesta di Fabio Padovan Fu rispedita ad Afragola dopo una rivolta popolare, si è spenta a Napoli a 80 anni
CONEGLIANO. Nel Coneglianese ci è rimasta solo poche settimane, succedeva 24 anni fa. Eppure il suo è un nome che pochi hanno scordato nel territorio anche perché fu al centro di una vera e propria sollevazione popolare: lei è Anna Mazza, la prima donna arrestata per camorra e la prima a essere mandata in soggiorno obbligato a Codogné. La vedova del boss Gennaro Moccia ora non c’è più: è morta a 80 anni, nel Napoletano. La «vedova della camorra», o «la vedova nera della camorra» come veniva anche chiamata, fu la mente del clan Moccia di Afragola per oltre vent’anni: sfruttando l’aura del marito defunto conquistò rapidamente un ruolo dirigenziale e riuscì a ramificare ovunque il suo potere, prendendo contatti anche con la Mala del Brenta durante il suo soggiorno trevigiano.


Un soggiorno che scatenò la rivolta del territorio, contrario all’accoglienza di persone coinvolte nella criminalità organizzata: il timore era quello di un “contagio” della malavita. A guidare la protesta contro Anna Mazza fu l’imprenditore e parlamentare della Lega Fabio Padovan che contestava non solo l’arrivo della donna, ma più in generale la pratica del “confino” che rischiava di portare la criminalità organizzata anche nelle Regioni settentrionali. Il deputato si accampò con una tenda, la tenda della libertà, sulla “mutera”, una collinetta di terra nel centro di Codogné, a poche centinaia di metri dall’appartamento assegnato ad Anna Mazza. I toni della protesta si alzarono nei giorni successivi l’arrivo della donna: Padovan si incatenò all’albero della discoteca “La Pergola” di Codogné e iniziò uno sciopero della fame e della sete, mentre in piazza scesero oltre mille persone e l’intero paese venne tappezzato di manifesti contro il soggiorno della vedova di camorra. La protesta, che rimbalzò a livello nazionale e finì anche al centro di alcune dirette televisive sui canali Rai e Mediaset, non impensierì particolarmente Anna Mazza la quale a Codogné in effetti non voleva restarci e preferiva tornare nella sua terra, dove peraltro aveva perso sotto i colpi d’arma da fuoco sia il marito, nel 1977, sia un figlio, nel 1987, che si trovava in regime di semilibertà perché accusato di aver ucciso un maresciallo dell’Arma. La donna, con aria spavalda e gioielli costosi, rilasciava interviste protestando per la sua situazione particolare. Mazza passò addirittura al contrattacco denunciando l’inadeguatezza dell’alloggio nel quale viveva; in una lettera al presidente della Repubblica Scalfaro scrisse di essere cardiopatica e denunciò il disagio sostenendo di venire offesa nella sua dignità di donna e di madre. In una conferenza stampa davanti al municipio raccontò anche di essere vittima, di fatto, di un sequestro di persona: tanto vale, affermò, essere messa in carcere. L’allora sindaco di Codogné Mario Gardenal minacciò di rassegnare le dimissioni con tutta la sua giunta se la vedova di camorra non fosse stata allontanata e insieme ad altri quindici sindaci del Coneglianese riuscì ad ottenere un incontro con il ministro dell’Interno Nicola Mancino. Anche perché la tensione cominciava a farsi palpabile e la protesta contro il soggiorno obbligato diventò praticamente trasversale, coinvolgendo tutte le parti politiche. Il moltiplicarsi delle proteste produsse alla fine il risultato tanto atteso: il 12 agosto, a distanza da quattro mesi dal suo arrivo, Anna Mazza venne riportata ad Afragola. E, nel frattempo, Camera e Senato, in tempi record, abolirono le norme sul soggiorno obbligato.


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