Montebelluna, ginecologo in pensione torna da volontario in reparto
Montebelluna, Tessari di nuovo in Ginecologia per due giorni a settimana. «Amo il mio lavoro, da piccolo volevo fare il missionario»

DeMarchi Montebelluna medico Silvio Tessari
MONTEBELLUNA. Appena arriverà la delibera firmata lo scorso 29 giugno, il reparto di Ostetricia-ginecologia del San Valentino avrà un medico volontario per un paio di mattine alla settimana. Non uno qualunque, ma un ginecologo che lì ha lavorato per decenni. Silvio Tessari, 66 anni, in pensione dallo scorso primo giugno, ha dato la sua disponibilità a operare nel reparto come volontario per un paio di mattine alla settimana. Si era reso disponibile nel momento in cui era andato in pensione, ma deve essere stato un parto laborioso arrivare a quella delibera che lo farà tornare come volontario nel reparto in cui ha lavorato per decenni.
Quando comincerà?
«Non appena mi sarà consegnata la delibera che mi dicono sia stata firmata lo scorso 29 giugno, mi metterò d’accordo su quali due mattine alla settimana prestare la mia attività di volontariato nel reparto. Conto tra lunedì e martedì».
Sarà un aiuto fondamentale quello che potrà dare nei prossimi mesi nell’ambulatorio di Ostetricia-ginecologia, attualmente in sofferenza per carenza di personale e per le ferie.
«Vi ho lavorato per decenni. Da quando ho cominciato a fare il ginecologo sono sempre stato al San Valentino. Avevo cominciato nel 1977 da studente di medicina a lavorare all’ospedale di Montebelluna. Per alcuni anni, all’inizio della carriera, ho lavorato nel reparto di Medicina e come guardia medica, una esperienza fondamentale anche per l’attività specialistica di ginecologo. Quindi sono entrato nel reparto di Ginecologia e ci sono rimasto fino al giorno in cui sono andato in pensione».
Quindi avrà fatto nascere tanti bebè.
«Diciamo che in tutti questi anni, tra parti fatti direttamente e altri a cui ho fatto da supporto avrò fatto nascere circa ventimila bambini. Che dire? Una piccola città».
Episodi curiosi?
«Le donne che venivano a farsi visitare perché avevano dolori al basso ventre e pensavano che fossero problemi ginecologici e invece erano dovuti a tensioni causate da litigi in famiglia. Li riconoscevo subito e quando chiedevo se avevano litigato con la suocera che avevano in casa mi chiedevano come facessi a saperlo. L’esperienza».
E quali sono stati i momenti che ricorda più volentieri?
«Tutti quelli in cui una situazione difficile si è poi risolta bene. E tutti quelli in cui ho aiutato delle coppie ad avere figli, individuando dove era il problema. Negli ultimi tempi mi sono dedicato molto alla isteriscopia, un esame che consente di vedere internamente la conformazione dell’utero e di individuare eventuali malformazioni che impediscono una gravidanza, in modo da poter individuare le cause e poter intervenire per rimuoverle».
Episodi che le hanno lasciato l’amaro in bocca?
«Tutti quelli in cui, nonostante tutto, qualcosa è andato storto. Quando si parla di bambini che muoiono in culla si tratta probabilmente di problemi elettrici al cuore. Lo stesso è per morti intrauterine o durante il travaglio, ma in questi casi si parla di malasanità. Il punto è che sono la stessa cosa delle morti in culla e la medicina impiegherà purtroppo ancora anni prima di poterli risolvere».
Perché fare il volontario in ospedale una volta andato in pensione?
«Fin da piccolo avevo il desiderio di fare il missionario. Quando facevo il chierichetto pensavo di fare il medico missionario, sentivo che tante donne morivano di parto e con loro i figli e volevo fare qualcosa per evitare questo. Anche per questo motivo sono andato a scuola dai Padri della Consolata».
Argomenti:sanità
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