«L’incubazione è di 10 giorni fondamentale agire subito»

CASTELFRANCO. Il meningococco è di tipo B. Il responso è arrivato ieri, a mezzogiorno, dai laboratori di Microbiologia dell’ospedale Ca’ Foncello.
«Il periodo massimo di incubazione è di 10 giorni» spiega Roberto Rigoli, primario dell’unità di Microbiologia di Treviso, «per cui dovremo attendere 8 giorni per escludere del tutto un focolaio. In questo periodo non devono esserci altri casi legati al paziente colpito, che evidentemente non era vaccinato. Anche in questo caso mi sento di dire che la risposta della struttura sanitaria nel suo complesso è stata tempestiva, avendo provveduto già anche alla profilasi di familiari e colleghi o amici che potessero essere entrati in contatto con il soggetto».
Tutti sono stati sottoposti a trattamento, con un antibiotico somministrato in due soluzioni. L’Usl 2 ha quindi creato in meno di due giorni il “cordone” che deve prevenire ogni contagio, essendo il meningococco di tipo B virale.
Giorgio Zanardo, primario della Rianimazione di Castelfranco, da sabato sera segue costantemente il decorso dell’uomo. «In una fase iniziale alcuni parametri facevano temere una sindrome molto grave, e sappiamo come questa patologia possa presentarsi in forme fulminanti che possono essere molto pericolose per i soggetti colpiti», spiegava ieri il dottore, «ma le cure tempestive, il trattamento antibiotico cui è stato subito sottoposto l’uomo hanno poi dato immediati riscontri, con un’efficacia in tempi rapidi che ha innescato un’evoluzione positiva, che ha segnato tra domenica e lunedì un netto miglioramento del quadro clinico del paziente. E questo trend, a quasi 48 ore dal ricovero dell’uomo, si sta consolidando, per cui possiamo esprimere un cauto ottimismo, anche se le condizioni sono monitorate, mentre procede la profilassi».
Come si può sviluppare un meningococco? Una percentuale delle popolazione, che oscilla fra il 12% e il 40% a seconda dei continenti e delle aree in cui si vive, ha in sè il germe, che però si sviluppa a tacca l’organismo solo per grave carenza di difese immunitarie o per altri fattori di “debolezza” organica.
« Nel nostro territorio siamo a una percentuale che oscilla fra il 10 e il 12% della popolazione», puntualizza Rigoli.
«È fondamentale in questi casi agire subito sia sul piano strettamente clinico che su quello preventivo, da un lato individuando la tipologia del germe, dall’altro definendo con la massima precisione e completezza gli ambiti di possibili contatti da parte del soggetto colpito con altre persone. E dunque famiglia, lavoro, cerchia degli amici, altri luoghi frequentati».
L’Usl 2 vanta nel campo esperienza e competenza particolari, avendo suo malgrado fronteggiato epidemie. La più grave nel 2007 – un meningococco virale di tipo C – che causò tre decessi per patologie fulminanti, con diversi focolai nella provincia. Nel 2018 la Marca fu nuovamente interessata da un incremento del numero di casi di meningite di tipo batterico spiegate dagli esperti come evoluzioni di otiti mal curate. —
A.P.
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