Le donne distruttive e tutti i sensi di colpa di mister Philip Roth

Romanzo autobiografico del ’74 ripubblicato ora da Einaudi Fondamentale per capire il grande scrittore ebreo Usa
Philip Roth in his appartment in New York
Philip Roth in his appartment in New York

di Enrico Pucci

Philip Roth, il più grande romanziere nordamericano vivente, si separò nel 1963 da Margaret Martinson, che sarebbe morta nel 1969 in un incidente stradale. Il protagonista di La mia vita di uomo (uscito nel 1974 negli Usa e nel ’75 per la prima volta in Italia per Bompiani, ora ripubblicato da Einaudi) si chiama Peter Tarnopol, è uno scrittore di successo reduce da un “matrimonio da incubo”. Anche la signora Tarnopol morirà in uno schianto automobilistico, lasciando l’ex marito in preda di una vera e propria ossessione (il senso di colpa è la cifra di quasi tutta la grande produzione narrativa rothiana).

Scritto cinque anni dopo il successo del Lamento di Portnoy, La mia vita di uomo è un romanzo decisamente autobiografico, in cui fa il suo esordio il personaggio di Nathan Zuckerman, che sarà poi protagonista di un intero ciclo (dallo Scrittore fantasma fino a Il fantasma esce di scena). Qui per la verità gli alter ego sono addirittura due: Peter Tarnopol e Nathan Zuckerman, quest’ultimo come protagonista di due racconti scritti dal primo e collocati da Roth nei due capitoli iniziali, cosicché il libro potrebbe anche essere letto al contrario.

Dunque La mia vita di uomo è una matrioska: Roth si riflette in Tarnopol che si specchia in Zuckerman.

È anche il racconto di un fallimento matrimoniale, di una serie di relazioni morbose con donne distruttive in cui troviamo il germe della misoginia di Roth. E poi è una lunga seduta psicoanalitica con lo stesso terapeuta (Spielvogel) del Lamento di Portnoy. Infine è una tesi sulla letteratura e sul mestiere di scrittore: «Sopra la mia scrivania non avevo la foto di una barca a vela, di una casa da sogno o di un bebè con il pannolino, o un poster esotico raffigurante un paese lontano, ma una frase di Flaubert: “Nella tua vita sii regolare e ordinato come un borghese, così da poter essere violento e originale nella tua opera».

Per chi ha amato il grandissimo Roth di Pastorale americana, di Everyman o anche dell’ultimissimo Nemesi, qui siamo decisamente un gradino sotto. È un libro complesso e complicato, ossessivo, che non emoziona. Ma ci sono in nuce tutti i temi che ritroveremo nei capolavori della maturità. E poi Roth merita sempre, a prescindere.

Raccomandato se vi piace: La controvita, Zuckerman scatenato.

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