L’alpino Piva nella strage dimenticata

Vidor ricorda il soldato ucciso a 21 anni da una mina dei sudtirolesi. La sorella: «Finalmente riconosciuto il suo sacrificio»  
VALDOBBIADENE. Erano le prime ore dell’alba di domenica 25 giugno 1967 quando in località Cima Vallona, nel Bellunese, i terroristi secessionisti del Fronte di liberazione del Sud Tirolo fecero saltare in aria un traliccio dell’alta tensione. In ricognizione fu inviata dal presidio di Santo Stefano di Cadore una pattuglia di militari composta da alpini, artificieri e finanzieri tra cui il volontario Alpino radiofonista Armando Piva di Bigolino (Valdobbiadene) in forza al battaglione Val Cismon. Mancavano appena 70 metri e pochi passi perché i militi raggiungessero il pilone danneggiato quando un ordigno occultato sotto un cumulo di ghiaia e neve esplose investendo il 21enne di leva tra gli Alpini. Morì poche ore dopo all’ospedale di San Candido dove era stato trasportato dai soccorritori. Nel medesimo giorno lo stesso macabro destino toccò anche a tre dei quattro uomini della Compagnia Speciale Antiterrorismo inviata sul luogo dell’attentato per svolgere le indagini e raccogliere le prove: il capitano dei carabinieri Francesco Gentile, il sottotenente paracadutista Mario Di Lecce, il sergente paracadutista Olivo Dordi e il sergente Marcello Fagnani, unico sopravvissuto. Erano gli anni della “guerra dei tralicci” che provocò nel territorio dell’Alto Adige 21 morti e 51 feriti, per la maggior parte militari. E la strage di Cima Vallona costata la vita a 4 militari è ancora oggi, a distanza di 50 anni dalla vicenda, il simbolo dell’impegno delle forze armate italiane a contrasto della subdola battaglia combattuta in quel buio periodo dai terroristi sudtirolesi a suon di deflagrazioni. È questo drammatico brandello di storia recente che fa da nero sfondo alla vicenda del giovane Armando Piva, originario di Pederobba ma residente a Valdobbiadene, nella frazione di Bigolino. Figlio di un militare di carriera della Marina italiana e di una nuotatrice russa conosciutisi nel campo di concentramento di Dusseldorf in Germania dove erano stati deportati, fu il primogenito di tre fratelli. La sua nascita, il 2 dicembre 1945 rappresentò la svolta e il cambiamento nella vita dei due coniugi sopravvissuti alla prigionia, marcando un particolare legame tra il figlio e la madre che mai ne accettò la tragica scomparsa. Piva prestò servizio militare come Alpino in forza al Battaglione Val Cismon. Quasi al termine del suo mandato fu inviato di stanza nell’Alto Comelico. «Armando era un ragazzo gioioso e solare – racconta la sorella Gabriella – che amava lo sport e aveva ancora tutta la vita davanti. La sua morte è stata un colpo durissimo per la nostra famiglia, un dramma per mia mamma Livia che con lui aveva un legame strettissimo». Armando Piva, ucciso nella strage di Cima Vallona, è stato insignito il 14 agosto 1967 della medaglia d’argento al valor militare “alla memoria” e solo il 29 marzo 2010 il Governo italiano gli ha concesso l'onorificenza di "vittima del terrorismo" “per gli alti valori morali espressi nell'attività prestata presso l'amministrazione di appartenenza”. «Per alcuni anni – racconta Gabriella – la storia di mio fratello e delle altre vittime come lui, è rimasta nel dimenticatoio per poi invece tornare in primo piano a seguito della raffica di attentati di matrice islamica che hanno sconvolto il mondo intero nel corso del 2007. Quest’anno per la prima volta sono stata invitata al Senato in occasione della cerimonia del 9 maggio in ricordo delle vittime del terrorismo e sento che ora il ruolo di mio fratello è stato pienamente riconosciuto». Ieri anche il Comune di Vidor ha voluto ricordare con una commossa cerimonia il sacrificio dell’Alpino Armando Piva di Bigolino, la cui salma riposa nel cimitero comunale. A suggellare il sacrificio di Piva rimangono la storia scritta sui documenti, i ricordi delle persone che lo hanno conosciuto, una pietra intrisa del suo sangue consegnata al museo-sacrario del 7° Alpini di Sedico.


Silvia Ceschin


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