La partigiana Tina «La Liberazione oggi? Si chiama cultura»

Tina Dall’Armi Murgia, 89 anni, ricorda la sua Resistenza «A 15 anni ho salvato mio fratello, poi diventai una staffetta»
AGOSTINI AG.FOTOFILM TREVISO PREMIO RIFLETTORE DONNA A SANTA CATERINA, IN FOTO IL PREMIO A DALL'ARMI MURGIA
AGOSTINI AG.FOTOFILM TREVISO PREMIO RIFLETTORE DONNA A SANTA CATERINA, IN FOTO IL PREMIO A DALL'ARMI MURGIA

«Sapete cosa ho ripetuto per tutta la vita? Che una volta arrivati sulla soglia del baratro, la materia grigia funziona meglio. E così mi immagino l’Italia oggi. Vedo il baratro, la crisi e il ritorno di certe ideologie che credevo scomparse, ma siamo un popolo intelligente, questo non ce lo può togliere nessuno. E ce la faremo». Buon 25 aprile da una partigiana: Tina Dall’Armi Murgia, novant’anni «tra qualche mese», lucidità e ironia invidiabili («Di destra, io, ho soltanto la mano»), uno scrigno di ricordi e valori da schiudere ogni giorno dell’anno, ma soprattutto oggi. Vedova dell’ex ufficiale dell’Aeronautica e poeta Giacomo Murgia, oggi Tina abita in viale Monte Grappa a Treviso. L’8 marzo è stata premiata dal Comune durante la rassegna Riflettore Donna.

Il 25 aprile per lei non è una data qualsiasi.

«È un giorno bello e importante. Da studiare, da conoscere, perché senza cultura non si può vivere bene. Io ho ricordi chiarissimi del mio passato, di cosa accadde dal ’43 al ’45, quando non avevo ancora 17 anni. Mio papà aveva un pastificio in città, vicino alla stazione di Porta Santi Quaranta. Durante i bombardamenti ci rifugiammo in un convento a Santa Bona, con altre famiglie. La nostra cucina era la chiesa, mia mamma scherzava e diceva che pranzavamo con lo Spirito Santo sopra la testa. I miei fratelli Giuseppe e Luigi si unirono alle formazioni partigiane in Cansiglio».

E lei, a 15 anni, salvò Luigi.

«Le Brigate Nere intercettarono due suoi compagni, stavano andando da lui. Chiesero a me chi fossero, io risposi: due miei pretendenti! Li convinsi e riuscii a prendere tempo, poi feci in modo di nascondere Luigi in una celletta dietro un armadio in casa di amici. Ci rimase tre giorni, prima di tornare in montagna con i partigiani».

Lei come li aiutava?

«Ero una staffetta. Stampavo fogli contro i nazisti che poi portavo ai compagni che li distribuivano nelle zone più calde del conflitto».

Portava solo volantini?

«No, anche le armi! Se ci ripenso, a quant’ero incosciente... Giravo in bicicletta con una borsa in pelle, dentro ci mettevo le pistole ma da fuori si vedevano benissimo. Sì, sono stata incosciente e fortunata. Alla fine ci siamo salvati tutti. Io, Luigi, Giuseppe, i miei cugini».

E dopo la guerra?

«Ho aiutato mio padre, che ha riaperto il pastificio e lo ha gestito finché è mancato. E poi ho conosciuto Giacomo Murgia. Era un ufficiale dell’Aeronautica, mi dicevano che sarei rimasta vedova presto o sarei morta di fame. E invece sono stati quarant’anni di amore, ci siamo voluti bene. Era un poeta. Anzi, Andrea Zanzotto mi diceva che lui era “il” poeta. È morto esattamente 25 anni fa. Mi manca».

Lei ha detto di temere il ritorno delle ideologie che ha combattuto.

«È vero. Il rischio di tornare al fascismo è reale, imminente. Siamo al limite del baratro. I latini avevano un verbo favoloso: “agnoscere”, non sapere. È quello che succede oggi, si parla e si fa politica con la pancia, senza studiare, senza ragionare sulle cose».

Come se ne esce?

«A novant’anni io... ne uscirò da sola! Ma penso che come popolo ce la faremo, nelle situazioni peggiori tiriamo fuori il meglio. Gli italiani sono un popolo intelligente E poi la vita è piena di cose belle. I miei tre figli sono tre “fenomeni”, i miei nipotini pure. Sono bisnonna. Non mi posso lamentare, domani (oggi) è il 25 aprile e sono felice».

Andrea De Polo

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